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Arte e storia Culture

Un museo sulla guerra contro la guerra

– di Fabiana Salvador –

Caporetto (Kobarid in sloveno, Cjaurêt in friulano, Karfreit in tedesco), situata nella Slovenia occidentale, vicino al confine con l’Italia, all’incrocio delle vallate dell’Isonzo e del Natisone. Punto di collegamento fra il Friuli e la Carinzia. In posizione strategica. 10 cambi di bandiera/potere negli ultimi 100 anni. Famosa per la battaglia della prima guerra mondiale che si combatté in queste zone tra il 24 e il 26 ottobre 1917, tra l’Italia e l’Austria-Ungheria, e si concluse con la celebre rotta delle truppe italiane che si dovettero ritirare fino al fiume Piave. Fra i più potenti e tragici scontri armati avvenuti su territorio montuoso nella storia dell’umanità.

Nel suo centro, un museo, nato dalla volontà dei locali, premiato dalla comunità europea nel 1993, è un luogo da visitare per un’emozione veramente forte attraverso la conoscenza e la diffusione della memoria. Aperto tutto l’anno, offre una mostra permanente e una momentanea che si rinnova periodicamente, eitinerari storici con visite guidate ai resti del fronte isontino nei dintorni di Caporetto. Una proiezione filmata di venti minuti di recente produzione, disponibile in otto lingue, introduce il visitatore con una descrizione dettagliata e critica degli eventi, che mette da subito in evidenza le assurdità e le irresponsabilità dei diversi poteri politici.

Non c’è retorica. Non si parla di vittoria e gloria. Di bandiere liberate o calpestate. Di conquiste o vendette. Di revanscismo o di orgoglio nazionalistico. Non si direbbe un museo di guerra, bensì un museo dedicato all’uomo, alle sue pene e al suo grido disperato di dissenso contro la guerra, nelle diverse lingue del mondo.

All’entrata carte geografiche illustrano i fronti aperti in Europa durante la Grande guerra e le modifiche dei confini politici apportate alla sua conclusione. Vi sono esposte bandiere, ritratti di combattenti di svariate nazionalità e le pietre tombali recuperate nei cimiteri militari dell’Alto Isonzo. Al primo piano tre sale sono dedicate alla storia millenaria di Caporetto. Si susseguono poi la Sala del Monte Nero, con il periodo iniziale degli scontri lungo l’Isonzo avvenuti dopo l’entrata in guerra dell’Italia il 24 maggio 1915 e la conquista della cima del monte, strappato ai difensori ungheresi; la Sala bianca affronta le sofferenze patite dai soldati in alta montagna per ben ventinove mesi; la Sala delle retrovie illustra le centinaia di migliaia di soldati ed operai di ambedue gli eserciti dislocati lungo la linea compresa tra il Rombon ed il golfo di Trieste, impiegati duramente a realizzare posizioni blindate, strade, acquedotti, funicolari, ospedali, cimiteri, officine… E ancora la Sala nera: la guerra di posizione, gli orrori, gli alpini in preghiera prima di andare in battaglia, manette e catene, visi mutili accanto a medaglie e croci al merito, la porta d’ingresso di una prigione militare italiana dove fra le varie scritte si legge “abbasso la tirannia, w l’anarchia, vogliamo la pace!”.

Al secondo piano è esposto il materiale che riguarda l’evento conclusivo del fronte isontino, la battaglia di Caporetto, con la controffensiva delle unità scelte tedesche ed austro-ungariche. Una riproduzione plastica di 27 mq mostra la portata di quest’operazione mentre grandi carte geografiche riproducono gli spostamenti e gli schieramenti delle unità combattenti. Il fiato rimane sospeso. L’allestimento di una caverna italiana, scavata sul massiccio del M. Nero, e la riproduzione sonora della lettera scritta al padre da un soldato collocato al suo interno, con in sottofondo la canzone popolare friulana “Stelutis alpinis”, contrae definitivamente il cuore in un lungo silenzio di riflessione.

Un grande ritratto di Ernest Hemingway costituisce l’omaggio particolare che il museo ha riservato all’autore di Addio alle armi, romanzo d’amore e di guerra, in parte autobiografico, ispirato alle esperienze sul fronte italiano nel 1918 e oggi ritenuto un must della letteratura contemporanea. Composto nel 1929, non poté essere pubblicato in Italia fino al 1948, nonostante la traduzione italiana fosse già stata scritta clandestinamente nel 1943 da Fernanda Pivano, arrestata per questo motivo a Torino. Il regime fascista lo riteneva sconveniente all’onore delle Forze Armate per la descrizione della disfatta di Caporetto e l’antimilitarismo sottinteso, esplicito nella sua memorabile prefazione: Siccome di guerre ne ho fatte troppe, sono certo di avere dei pregiudizi, e spero di avere molti pregiudizi. Ma è persuasione ponderata dello scrittore di questo libro che le guerre sono combattute dalla più bella gente che c’è, o diciamo pure soltanto dalla gente, per quanto, quanto più ci si avvicina a dove si combatte e tanto più bella è la gente che si incontra; ma sono fatte, provocate e iniziate da precise rivalità economiche e da maiali che sorgono a profittarne. Sono persuaso che tutta la gente che sorge a profittare della guerra e aiuta a provocarla dovrebbe essere fucilata il giorno stesso che incominciano a farlo da rappresentanti accreditati dei leali cittadini che la combatteranno (E. Hemingway).

Fabiana Salvador

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