Quando la mela scintillante nasconde il veleno…
È desiderio di tutti i genitori che i propri figli realizzino se stessi?
Breve viaggio negli oscuri meandri di alcune dinamiche familiari.
Cos’è l’invidia?
Prima di tutto essa non va confusa con la gelosia che è il timore, naturale e universale, di perdere l’esclusività del vivere. È compito del genitore far evolvere la gelosia nella giusta direzione. Per fare ciò, si deve aver imparato a gestire anche i propri bisogni tenendo conto che il figlio non potrà altro che cercare con ostinata caparbietà di evolutarsi. La gelosia manifesta l’incapacità di accettare un limite che è in sé importante nel rapporto con la persona amata. L’invidia invece, è il dolore psicologico, naturale e universale, dovuto alla constatazione dell’inferiorità rispetto a un’altra persona. L’inabilità ad accettare un proprio limite di partenza genera invidia: l’invidia è un’immagine di se stessi sminuita dal confronto con altri. È dolore e fatica per ciò che l’altro possiede e che a noi manca.
Ci spieghi.
Una particolare difficoltà a riconoscere le qualità dei figli, determina una sottile competizione nei loro confronti che incrina il rapporto. L’invidia è una grave mancanza di libertà psicologica: accettare ed amare una realtà esterna – come quella dei figli – sino a renderla parte di sé, non è così scontato. Quanti genitori possono affermare di sentirsi felici di fronte alle qualità dei propri figli? È come se l’accettazione di una “grandezza” del figlio rimpicciolisse il genitore.
I successi dei figli diventano motivo di dolore?
I successi dei figli possono diventare difficilmente sopportabili. I successi dei figli significano infatti “tu sei riuscito dove io non sono riuscito”: ciò rappresenta una ferita narcisistica.
Cosa può fare un figlio invidiato?
I figli oggetto di invidia genitoriale hanno una particolare difficoltà ad avvertire nei genitori tale sentimento. Riconoscere questo limite dei genitori è drammatico e doloroso, perché la realtà che essi si trovano di fronte è: “ritenuta inamovibilmente impossibile”, ossia incapace di non poter essere vera. È difficile infatti accettare di non essere amati dai propri genitori. Ne deriva una diffusa difficoltà a nutrire una naturale fiducia.
Qual è il percorso consigliato al figlio invidiato?
Si tratta di un percorso interiore spesso molto doloroso e impegnativo, che richiede il riconoscimento di questa ambivalenza con giustificazioni molto abili, dettate per esempio dall’incapacità di riconoscere il merito dei figli. Tali giustificazioni, essendo genitoriali, hanno un peso specifico per il figlio e non possono essere eliminate con un semplice atto di volontà. Il riconoscimento, che si può avere con un aiuto esterno, di questo dolore, è condizione per liberarsene e accettare la propria originalità.
Vuole farci degli esempi?
Gli esempi potrebbero essere molti, ma vediamone alcuni:
Non fare mai i complimenti a un figlio: il genitore prova un intimo fastidio di fronte alle lodi che il figlio riceve da altri, mentre lui non riesce a gioire e sentirsi sereno di fronte ai successi conseguiti.
Il genitore rimprovera il figlio: ogni volta che si sottolinea una sua qualità, si accompagna con la rilevazione di un difetto, in una sorta di bilancia oscillante che impedisce una vera accettazione e un conseguente riconoscimento.
Il genitore appare ironico, sarcastico, ridicolizza in forma “apparentemente bonaria” ogni passo avanti fatto dal figlio.
Un altro atteggiamento caratteristico è la pretesa di accaparrarsi i successi del figlio, in maniera tale da soddisfare i propri bisogni narcisistici. Solo il fatto che il figlio riesca in qualcosa di positivo suscita nel genitore, invidioso, la sensazione che stia diventando più bravo di lui e, di conseguenza, che lo scavalchi.
La conseguenza più importante è la difficoltà del figlio a sentirsi libero di riuscire e di provare piacere e soddisfazione nel farlo. È come se il senso di colpa fosse inevitabile e impedisse al figlio di vivere serenamente la gioia e il godimento di ciò che sarebbe ragionevole.
Vivere in segreta competizione con i figli: è, per esempio, assai conosciuta la strisciante competizione che può instaurarsi fra madre e figlia. Questo lato oscuro della relazione è ben rappresentato da certe favole in cui le malefatte della matrigna mettono in luce l’altra faccia dell’amore genitoriale, il caratteristico limite e dunque l’aspetto infantile ed egoistico del genitore stesso. La condotta della matrigna appare inspiegabile se non si ricorre alla chiave interpretativa dell’“invidia”. Solo alla luce di questo sentimento i comportamenti cattivi trovano senso e la “mela avvelenata” di Biancaneve diventa il simbolo di tutte le falsità che a volte si celano in questo rapporto. La mela scintilla, ma al suo interno vi è il veleno che addormenta e impedisce l’evoluzione personale. Tale frutto ricorda ed esemplifica le situazioni in cui una mamma ripete alla figlia di non illudersi riguardo agli uomini, da lei ritenuti “tutti uguali” distruggendone la fiducia e la speranza di felicità matrimoniale. La madre, per non ammettere di aver sposato la persona sbagliata, accentua i lati negativi del matrimonio in modo che la figlia non corra il rischio di essere più felice di lei. Le trasmette paure che la condizioneranno nel rapporto, sapendo che questo la indurrà a subire i comportamenti ingiusti del marito. Cerca di trasmetterle una visione della vita riassumibile nel “siamo fatte per soffrire” alimentando la rassegnazione all’infelicità. Se la figlia, grazie alla sua forza di carattere, raggiunge un rapporto di coppia più appagante, essa lo vive come un’ingiustizia. E per queste oscure motivazioni la madre umilia la figlia cercando di farla sentire sempre sbagliata. Insomma, trova insopportabile che abbia ciò che è mancato a lui: l’amore del marito. Per questo tende ad avvelenare la relazione con sospetti infondati sul marito, insinuando il dubbio che lui non l’ami davvero, oppure facendo i difetti del fidanzato potrebbero creare difficoltà, spingendola nelle braccia della persona sbagliata. Prende sempre le difese del genero svalutando le lamentele della moglie. Sminuisce la figlia come madre, attribuendo la crescita serena dei figli a tutti fuorché a lei. Controlla le scelte della figlia e la critica palesemente. La paragona sistematicamente a un altro figlio facendole sentire quanto sia migliore di lei. Giustifica i limiti e i successi quest’ultimo in modo che non possa sentirsi migliore. La figlia/il che subisce questi rapporti ha la sensazione che il genitore non voglia che il figlio prediletto venga superato.
In verità i genitori che anche i figli possono nutrire invidia nei confronti dei genitori. In particolare i figli adolescenti possono nutrire verso la madre attrattiva un forte competizione. Per quanto ci sono madri che cercano di risultare seduttive con i figli anche per delle ragioni inconsapevoli, in altri casi queste figure disturbano la relazione familiare. Una manifestazione particolarmente pericolosa avviene nel rapporto dei padri con le figlie adolescenti: certi padri creano in lei difficoltà psicologiche quando si oppongono alla sua crescita femminile. Dietro il tentativo dello “stare con i piedi per terra”, di frenarne l’autonomia, di criticarne la maturità e di sminuirne la femminilità, vi è il doloroso confronto con un corpo che si sviluppa e con la perdita dell’illusione di onnipotenza.
In sintesi, si tratta di genitori incapaci di credere che valga la pena di rispettare e di far vivere la propria esperienza al figlio; si tratta di una lesione morale che, se superata, potrebbe dare pienezza di senso alla vita.
Barbara Cantalino
intervista Osvaldo Poli
Tratto da Konrad n. di Marzo 2008
