Abbiamo dato vita a una musica contemporanea, per descrivere come la realtà virtuale possa manipolare le persone mostrando delle storie immaginarie. Abbiamo pensato che fosse giusto così. Bartol è nato a Trieste, noi siamo di Ljubljana e lo spettacolo è ambientato in Iran. È tutto esistente e contemporaneo
Luka Jamnik, membro dei Laibach e co-compositore di Alamut
Il 15 ottobre il Teatro Rossetti era gremito: platea, palchi e loggione pieni come pieno era il palcoscenico, fino al proscenio, e piena era la musica, quella composta dai Laibach assieme ai musicisti iraniani Idin Samimi Mofakham e Nima A. Rowshan.
A suonare sul palco erano in tantissimi: oltre ai 4 componenti dei Laibach c’erano la RTV Slovenia Symphony Orchestra (diretta dal M° iraniano Navid Gohari), il gruppo vocale Human Voice Ensemble di Teheran, il coro Gallina Vocal Group e l’orchestra di fisarmoniche femminile AccordiOna. Una gioia per gli occhi e le orecchie.
Il concerto è stato il bellissimo riassunto sonoro e filosofico di un bellissimo libro, Alamut, di Vladimir Bartol, nostro compaesano (nacque a San Giovanni nel 1903 e morì a Lubiana nel 1967). La “colonna sonora” del romanzo si è stesa in capitoli evocando il libro in una specie di interpretazione contemporanea: non potevano quindi mancare accenni a guerre più recenti di quella trattata dall’autore sloveno, che parlò di Hassan-i Sabbāh (1034 ca – 1124), capo religioso di una setta degli Ismailiti (i Nizariti) nota soprattutto con il nome di Assassini (Hašīšiyyūn).
La musica è stata piacevolmente schizofrenica: dall’iniziale sinfonica (che ricordava non poco la musica di Star War) si è passati all’industrial laibachiana classica, assai ritmata e potente, per lasciare spazio a brusii, voci parlate, melodie corali, larghi adagi psichedelici e raggiungere punte cacofoniche (soprattutto con le 13 fisarmoniciste) e atmosfere persiane. Il libro di Bartol è meno vario, meno evidentemente eterogeneo ma la filosofia che vi ruota dentro, a mio parere, è stata dipinta (o sonorizzata) in maniera ricca e originale. Il tutto è confermato dalla frase che condensa lo spettacolo-libro: Arrivederci all’inferno.
Anche le immagini di Aka Bojić e Luka Umek proiettate sullo schermo gigante dietro al palco seguivano la storia e andavano da una grafica base, direi quasi anni Ottanta, a una dimensione stellare, galattica, spaziale: si adeguavano insomma bene alla musica (forse più che al testo).
L’unica nota negativa da registrare è la seguente: tralasciando la mia sfortunata posizione in platea – il cui sguardo veniva impallato da degli strumenti – le didascalie che comunicavano i titoli dei nove atti (o capitoli) e alcune traduzioni di canzoni e parlati non erano sempre proiettati sullo schermo dei soprattitoli, andando a parziale discapito della comprensione.
Il libro è stato dedicato dall’autore sloveno in pieno regime fascista a Benito Mussolini, non per captatio ma per sarcasmo (una delle frasi memorabili del libro difatti è Nulla è vero, tutto è permesso), e quei tempi erano coraggiosi, non come i nostri: quando avremo questo slancio, questa energia per dedicare (solo in questo senso!) un libro a Erdoğan, a Khamenei, a Orbán, a Putin, a…?
Credits fotografie: Simone Di Luca
Riccardo Redivo