Ignorare la Bibbia è uno dei motivi del ritardo storico e culturale italiano
Inutile: a sessantadue anni Gianfranco Manfredi non imparerà la furbizia. Nei ’70, la canzone politica era musona? E lui fece dischi che raccontano l’epoca con beffarda passione (Ma non è una malattia o Ma chi ha detto che non c’è, gioiello segreto della musica italiana). Negli 80, l’horror era considerato per mentecatti? E lui pubblicò Magia rossa, romanzo tra lotta di classe e brividi gotici. Nel ’90, il western era defunto? E lui inventò un fumetto western di sinistra: Magico Vento, 130 episodi, 13.000 pagine.
Nei 2000, molti si arricchivano coi corsi di scrittura creativa? E lui mise online un ottimo manuale gratis. Adesso spopola Dracula? E lui, che sui vampiri ha scritto libri eccellenti, esce ora con Tecniche di resurrezione (Gargoyle, 2010, pp. 490, euro 18), prodigo di suspense e idee ma di vampiri manco l’ombra. Qualcuno vi dirà che è un romanzo troppo lungo, qualcuno che è troppo corto, un Terzo che è troppo lento, un altro che ci sono troppi personaggi, Tizio che a volte fa ridere e a volte è orrido, Calo che mescola troppi generi (giallo, macabro, storico, filosofico, epistolare, satirico, teologico, sociale…), Uno che non si capisce dove va a parare, Secondo che a tratti è inverosimile, Sempronio che è troppo realistico, qualcun altro che è troppo fantastico, XY che è troppo collegato al precedente Ho freddo, Calpurnia che è troppo poco legato al precedente Ho freddo, tutti vi diranno che è un romanzo strano, ma nessuno vi dirà che è un “romanzo fatto con lo stampino dei libri tutti uguali…
La trama a grandissime linee: nel 1803, attorno a una suggestiva e misteriosa ipotesi medico-scientifica le cui radici affondano nel remoto passato dell’umanità, si addensano molti interessi. Di più non vi dirò perché sarebbe criminale svelare troppo e chi legge non sa mai dove il libro lo condurrà, così non può adagiarsi in una di quelle letture sonnacchiose e prevedibili. Ogni tanto (soprattutto quando Manfredi ci conduce nei meandri nella Londra miserabile e inquinata, formicolante di poveri e malati, sfruttati ed emarginati, scuole pubbliche degradate e assistenza sanitaria precaria) ci diciamo: “si sta forse parlando di noi?” E il brivido che di corre lungo la schiena non è dovuto solo al sapienti colpi di scena ma all’orrida sensazione che, forse, il nostro futuro potrebbe somigliare al nostro passato. Ancora qualche accenno dei motivi del ritardo storico alla piccola folla di personaggi come sempre nelle opere di Manfredi riuscitissimi, dal principali ai comprimari. Ecco allora i due gemelli Valcour e Aline de Valmont, aristocratici libertini francesi (già protagonisti di Ho freddo), medico gay lui ed esperta di chimica lei, col cuore infranto per l’amore perduto nel precedente romanzo. Poi infelici nobildonne inglesi e camerieri saccenti, chirurghi ambiziosi e militari arroganti, attori di teatro e Napoleone in persona, politici e re Giorgio II, il filosofo Jeremy Bentham e mercanti ghiottoni, farabutti e pastori protestanti, in un ricco quadro dipinto con colori che vanno dal comico al tragico, dal thrilling al grottesco. “Vi piace lo stile gotico?” chiede a pagina 471 un personaggio. Gli rispondono (ma forse è proprio Manfredi): “E un grido lanciato al cielo, dagli oscuri labirinti e dalle infinite storture della vita terrena”. L’ambizione è semplice e grande: prendere il genere “horror’, depurarlo della componente esibizionistica e fecondarlo con ogni genere letterario, filosofico e storico, satirico e avventuroso. Lo scandalo (e il bello) è che Gianfranco Manfredi ci riesce. Curiosi, l’abbiamo intervistato.
Scrivere storie è piacere, sofferenza, ossessione o missione?
Per me è una condizione, modo di vivere Se resto più di dieci giorni senza scrivere, allora sì che soffro. Invidio chi vive e opera più attivamente e concretamente. lo però ho avuto in sorte questo talento e ritengo un privilegio riuscire a campare raccontando storie.
Un protagonista di Ho freddo e Tecniche è pastore protestante. Che rapporti hai col cristianesimo?
Sono protestante, per storia familiare, da due generazioni. Il percorso è stato piuttosto insolito: mia nonna materna convertita dal cattolicesimo al “revivalismo”. Ma il nostro cammino familiare è stato tipico di molti protestanti italiani. Da ragazzino ho frequentato le Assemblee dei Fratelli e saltuariamente la Chiesa Metodista, quella
Battista più di frequente e poi in particolare la Chiesa Valdese, che mi ha segnato di più. Ma grandi differenze non ne ho sperimentate. Se è nata la Federazione Chiese Evangeliche Italiane, non è stato per caso o solo per una scelta, ma perché la storia degli evangelici italiani, in quanto minoranza, è sempre stata molto più “mescolata” che nei Paesi protestanti. Col personaggio del pastore olandese e battista Jan Vos, emigrato in America, ho voluto raccontare le trasformazioni, alla fine del ‘700 americano, operate dal battismo popolare, rispetto alla tradizione della Chiesa d’Inghilterra e del puritanesimo. Un periodo molto interessante.
E la Bibbia?
Per me, come per la stragrande maggioranza dei protestanti italiani, è stata la lettura fondante, all’origine della mia formazione intellettuale e letteraria. Credo che chi ignora la Bibbia faccia molta fatica a comprendere la letteratura anglosassone, americana in particolare, e persino la storia della musica popolare moderna. La Bibbia spunta ovunque, i riferimenti si sprecano, la cultura occidentale moderna ne è intrisa.
Sottovalutare la Bibbia, conoscerla poco, è uno degli elementi di ritardo storico culturale dell’Italia.
A te, romanziere che narra anche la paura, cosa fa paura?
Non mi impaurisco facilmente. Mai stato paranoico. In particolare le “campagne di paura”, quasi sempre utili al potere politico di turno, non hanno mai avuto effetti su di me. Apocalissi d’ogni genere, nemici esterni e in patria, complotti di palazzo o internazionali, sono paure ideologiche e hanno una storia precisa. Un saggio interessante è La paura in occidente di Jean Delumeau, fine anni ’70, studio molto approfondito sulle paure di massa. Un capitolo riguarda la Riforma Protestante. Martin Lutero venne accusato da molti di sfruttare la paura per convertire. Un giudizio riduttivo, ma è vero che Lutero dichiarò più volte “L’Ultimo giorno è alle porte“.
La paura del “mondo che volge al termine” veniva bilanciata con l’attesa messianica del ritorno di Cristo e l’invito a prepararsi purificandosi interiormente, rinunciare alla corruzione, accogliere la Fede. Non era tanto proselitismo, quanto conversione personale, responsabilità individuale. Però si percorreva un crinale pericoloso: non si può diventare “uomini nuovi” per paura, altrimenti la fede rischia di ridursi a un nuovo mercimonio. Dunque ritengo che al centro di un messaggio autenticamente cristiano e riformatore debba esserci la liberazione dalla Paura, non la sua accettazione come “occasione propizia”. Questo è stato un elemento fondante del Protestantesimo: la salvezza ci è data gratuitamente da Cristo come dono, non è un premio da ottenere né oggetto di indulgenze. La vera paura che ci contagia socialmente e che dobbiamo imparare a sconfiggere, è quella della libertà e responsabilità delle nostre azioni e dei nostri comportamenti.
Luciano Comida
Riproduciamo il testo su gentile concessione del settimanale Riforma.
tratto da Konrad n.163 del febbraio 2011