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XXXVI TRIESTE FILM FESTIVAL

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Anche quest’anno, partecipare al Trieste Film Festival (giunto alla sua XXXVI edizione) è stato emozionante. L’abituale critica che muovo alla rassegna è sempre quella: dare molte visoni e non riuscire a vederle tutte.
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KELTI di Milica Tomović
(Celti, SRB, 2021, 106’), Teatro Miela 18.01.25


La nota negativa di cui sopra qui si tinge di nero perché, riducendo le visioni a causa di una vita come tutti impegnata, non mi ero accorto – ma nemmeno era evidente, anzi, era nell’ultima riga della descrizione sul libretto – che era già stato proiettato… e l’avevo già visto! La descrizione, sommessa e appunto in sordina, alla fine, era la seguente “In concorso al Trieste nel 2022”. Il film è bellissimo e si può leggerne la recensione che a suo tempo vi avevo fatto (qua), però vien da pensare che sia stato pescato non solo per le sue qualità ma perché mancavano film per la sezione in cui è inserito (Wild Roses. Registe in Europa. Focus Serbia): è un peccato perché non si è potuto vederne uno nuovo.
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KADA JE ZAZVONIO TELEFON di Iva Radivojević
(Quando il telefono suonò, SRB – USA, 2024, 73’) – Teatro Miela 19.01.25


Anche questo film, che ha avuto una menzione speciale nella sezione “Cineasti del presente” al festival di Locarno 2024, rientra nella sezione Wild Roses.
Il film è la storia di un’esplosione di ricordi da un ricordo preciso, la telefonata di un venerdì della primavera del 1992 che avvisava la protagonista narrante, a quell’epoca bambina undicenne, che il nonno era morto. Ma l’esplosione è, allegoricamente, anche quella della fine della Jugoslavia e dell’inizio di una guerra – come tutte direi – efferata. I ricordi sono scene – alle volte belli, altre brutti – che impattano in lei come traumi.
Non è una sceneggiatura originale (anche se un po’, mutatis mutandi, ricorda l’incedere del regista Terrence Malick) e l’insistito della telefonata ripetuta troppe volte rasenta il demenziale, ma nell’insieme è un buon film visto attraverso gli occhi pesanti di una ex bambina.
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AS I WAS LOOKING ABOVE, I COULD SEE MYSELF UNDERNEATH di Ilir Hasanaj
(Mentre guardavo in alto, riuscivo a vedere me stesso in basso, RSK, 2022, 62’) – Teatro Miela 19.01.25


Il documentario rientra nella sezione Visioni Queer ed è, come dice il regista Hasanaj (e come l’ha ripetuto uno dei produttori del film presente in sala) “è il primo documentario in Kosovo a mostrare i protagonisti senza oscurare i loro volti e cambiare i loro nomi …”.
Sette persone dichiaratamente LGBTQ+ sono intervistate e filmate durante la loro per nulla facile quotidianità: il passato porta le tracce nel presente, con noi e per noi condiviso.
Non riporterò le storie dei sette protagonisti resistenti bensì due elementi che mi hanno colpito e che reputo interessanti: i loro nomi e una frase, tra tante buone, che potrebbe racchiudere il documentario, o almeno una sua parte:

Megi
Semi
Edon
Qerkica
Mustafa
Blendi
Linda

Non ci ha portati l’Europa.
Eravamo già qua.
C’eravamo già da tanto tempo

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TREI KILOMETRI PÂNA LA CAPATUL LUMII di Emanuel Pârvu
(Tre chilometri alla fine del mondo, RO, 2024, 105’) Teatro Rossetti 23.01.25


La storia è semplice, potrei azzardare a dire quasi banale per la sua ricorrenza sociale, ma si riscatta in molte scelte, a cominciare dalla potenza della natura, incarnata nel meraviglioso paesaggio del Delta del Danubio.
Il diciassettenne Adrian (Adil) ritorna dai suoi genitori per passare con loro l’estate. Una notte viene aggredito e pestato (una seconda delicata e riuscita scelta è quella di non aver mostrato il pestaggio, ma solo il suo esito corporeo e spirituale: il che arriva ancor più pesante). Per scoprire chi è stato, emerge il motivo dell’aggressione, quello di essere gay, di amare gli uomini.
I parossistici e violenti rimedi per sanare quello che la comunità, pope incluso, considera una malattia sono terribili, disumani, tanto che il pestaggio, a posteriori, risulta essere la parte più leggera della storia traumatica (venir legati per essere esorcizzati – con la bocca chiusa e davanti ai genitori – è assai più pesante di un calcio in faccia, no?).
Per la pace del villaggio (e dell’economia familiare) si raggiunge un compromesso che libera il ragazzo ma scontenta tutti.
Per questa terribile banalità di fondo il film non poteva vincere la sezione in cui era inserito (lungometraggi) ma è stato premiato dalla pancia del pubblico – il buon pubblico del Trieste Film Festival – perché ci si scalda, ci si arrabbia fortemente difronte a un’ingiustizia e a della angherie: il film ha appunto vinto il Premio del pubblico Miglior Lungometraggio (in precedenza era stato presentato in anteprima e in concorso a Cannes 2024 e poi al Sarajevo FF, dove ha vinto il premio come Miglior film).
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Quest’anno, a causa delle poche visioni, non ho trovato un fil rouge “solido”, ma qualcosa ho trovato: sia Kelti che As I was looking above, I could see myself underneath che Trei kilometri pâna la capatul lumii hanno dei primi piani incredibili e ricorrenti di … sigarette e fumo. Sembrava quasi uno spot promozionale. Ma la vita è pur pubblicità di se stessa, no?

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