di Simonetta Lorigliola – Foto di Lorenzo Monasta
New York. Mi trovavo là nel mese di giugno e la città brillava nella sua miriade di bellezze e contraddizioni. Perché NY è la città del contrappunto per eccellenza.
Un luogo in cui c’è il mondo, intero. Facce, lingue, cibi, alfabeti parlati e immaginari. E anche tutte le disparità e gli abissi che il pianeta produce quotidianamente senza sosta.
Tra Harlem e il Financial District passi in un lampo dalla tirata mancanza alla danarosa ostentazione. A Chinatown sei in una vera piccola città in cui tutto è autenticamente cinese: il caos, le mercanzie in strada, le anatre laccate appese su vetrine sudate, i cartelli pubblicitari e dietro l’angolo ti trovi Little Italy un penoso ricettacolo per turisti middle class in cui i marciapiedi pullulano di ristoranti fintitaliani alla salsa rossa e chianti del fiasco, tutto troppo brutto per essere anche solo un cliché.
A NY a giugno c’è ogni anno una delle più grandi manifestazioni pubbliche della società civile.
Un corteo portentoso e sentito che coinvolge visibilmente tutta la città nella sua preparazione. Il Comune è in testa e provvede alle necessità logistiche che 400.000 partecipanti richiedono.
Parliamo del Gay Pride, naturalmente.

Quest’anno, dopo la strage omofoba di Orlando, tutto era maggiormente carico di tensione emotiva. La manifestazione, rabbiosa, bella e pacifica, ha percorso la Quinta strada ed è terminata presso lo storico Stonewall Inn, il pub nel Greenwich Village dove il 28 giugno 1969 un gruppo di gay si opposero con una rivolta alle innumerevoli retate della polizia nei locali e alle continue pressioni delle istituzioni contro la loro libertà di esistere ed esprimersi.
La miccia esplose quando Sylvia Rivera gettò una bottiglia contro un poliziotto. Una donna, che non portava un cognome inglese, e che non era conformemente eterosessuale. Gli anni passano e le battaglie servono. Oggi, pur continuando a servire birre, lo Stonewall è Monumento nazionale.

Nella giornata del Pride l’arcobaleno di colori che ne è simbolo viene proiettato sui due grattacieli icona della città, l’Empire Building e il Memorial Freedom Tower.

Oggi i treni della subway ospitano pubblicità municipali che invitano ad utilizzare i bagni pubblici secondo la propria sensibilità di genere, non secondo quella biologica. E lo fanno nelle lingue del luogo, ispano-americano in primis.

NY è il centro del mondo.Trieste non abita in questo mondo forse?
Va in fumo il piccolo e importante Gioco del rispetto dedicato all’educazione di genere nelle scuole dell’infanzia. Scoppiano fuochi artificiali per festeggiare le nozze del neo (old) sindaco, che nessuno in città può ignorare ma le unioni civili, e quindi i matrimoni gay, sono un fastidio che va nascosto nei recessi dei labirinti burocratici e a cui non è concessa la conformità della sala matrimoni.
Dall’altra parte si istituiscono multe contro i clochard, entità da eliminare dalla vista in una città decorosa.
Se il buongiorno si vede dal mattino, non sarà certo un bel lustro quello che a Trieste attende i diritti civili, il rispetto delle diversità e la loro integrazione. E tutti quei valori che in un mondo in movimento sono e dovrebbero essere riconosciuti e liberati. Da tutti e per tutti.