Chi saranno i futuri numi tutelari “solidi” del Bosco locale e planetario?
di Diego Massello
Anni fa ragionavo sul “fiume più lungo del mondo” che scorre nei boschi all’interno degli alberi. Una provocazione riguardante la linfa grezza (acqua e sali minerali) che sale e quella elaborata che, dopo la fotosintesi, ridiscende sempre all’interno dei tronchi. Un calcolo empirico su scala mondiale: moltiplicazioni di metri lineari di altezze medie delle piante, numeri di piante per una data superficie, numero di esemplari di un dato diametro, chilometri di ipotetico scorrimento.
Poi… assorbimenti, osmosi, traspirazioni ed evaporazioni studiate sui libri, l’osservazione delle fasi lunari e delle maree per il taglio degli alberi raccontatami da un vecchio contadino di una comunella, le percentuali liquide nelle resinazioni autarchiche dei pini del Carso, la funzione protettiva e regimante del bosco drammaticamente segnalata, come non troppo rispettata, dagli illuministi italiani del Settecento, il vincolo idrogeologico del 1923 e le sue mappe originali al 1:2880 disegnate a mano, reperibili ancora in qualche Stazione forestale che le ha conservate e poi, ancora, sulle piogge acide, di cui si sente parlare sempre meno.
Ma volevo comunicare qualcosa d’altro di “liquido”.
Zigmunt Bauman, conosciuto e stimato sociologo dei nostri tempi, chiama “liquida” la nostra società: una sfrenata deregolamentazione e flessibilizzazione dei rapporti sociali in cui gli obblighi etici e religiosi stanno venendo meno. Un processo di liquefazione di corpi solidi che la stessa società aveva precedentemente costruito.
E il bosco? Modellato da molte generazioni di uomini e da millenarie alchimie della Natura, è ancora solido o comincia a diventare “liquido”? O meglio: le persone a cui appartiene, che lo frequentano, che lo gestiscono, che lo studiano, che lo tagliano, che lo controllano sono ancora solide o stanno diventando sempre più “liquide”? Che sorte avrà il bosco nel futuro e cosa vorrà ricavare l’uomo da esso?
Oggi la scommessa planetaria, obbligatoriamente da vincere, è quella di ridurre i cambiamenti climatici che stanno danneggiando con maggiore frequenza e gravità i boschi: siccità durature, incendi, tempeste improvvise e infestazioni parassitarie. Basta andare sulle nostre Alpi per vedere quanti abeti si sono seccati e quali lavori urgenti sono in corso per esboscarli. I ghiacciai alpini si restringono, d’inverno la neve diminuisce a favore della pioggia che poi porta rovinosamente a valle ghiaie che erano stabilizzate da secoli.
L’ultima strategia forestale dell’Unione Europea rilancia verso la bioeconomia basata sui prodotti legnosi e non legnosi delle foreste e anche sul turismo culturale, silvoterapico, verde e lento. C’è bisogno però di giovani talenti, “solidi”, che riescano a elaborare prodotti nuovi e soprattutto innovativi.
Contro la “liquidità” della saggezza e della conoscenza bisogna aumentare le attenzioni, le informazioni e le innovazioni culturali e politiche. Anche per i semplici e silenziosi boschi di confine come i nostri.
Foto: Archivio CFR, foto Fulvio Tolazzi