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Società e Diritti

Che l’accoglienza superi l’emergenza. Intervista a Gianni Torrenti

Intervista a Gianni Torrenti Assessore Cultura, solidarietà e sport della Regione Friuli Venezia Giulia

Gianni_Torrenti

Questa intervista inizia dal suo centro. Gianni Torrenti fa una pausa mentre sta raccontando della complessa questione sui profughi e richiedenti asilo. Fruga nelle tasche della giacca e, dopo qualche secondo, ne estrae un librino mignon. Me lo porge: “Questa è la Convenzione europea per i Diritti dell’Uomo. La porto sempre con me. Non è per un vezzo. Sono convinto che questo debba essere il nostro punto di partenza e arrivo”.
Quella Convenzione, nelle parole che la aprono, nasce con l’obiettivo di condensare e rendere oggetto di diritto istituzionale condiviso l’essenza della civiltà europea in termini di centralità dell’uomo e delle sue libertà. Dice Torrenti: “È un documento che sintetizza l’approccio che ogni amministrazione dovrebbe assumere nel gestire la questione flussi migratori”. E aggiunge: “Contiene un assunto fondamentale che dovrebbe essere chiaro a tutti: il diritto di asilo è una pratica civile che in Europa ha 2500 anni di storia”.

Qual è l’approccio della regione FVG sulla questione, oggi centrale, dei profughi e richiedenti asilo?
Il FVG ha una storia lunga su questi temi. Abbiamo gestito la situazione relativa alla fuga di migliaia di persone durante il conflitto dei Balcani. In quegli anni si partì da subito con intelligenza analitica e si improntò un sistema che prevedesse estrema attenzione all’integrazione.

Cosa significa nello specifico?
Che non si opera all’interno del paradigma dell’emergenza ma in quello dell’accoglienza. L’obiettivo è la sistemazione delle persone in modo diffuso sul territorio, evitando il più possibile di creare situazioni ghettizzanti che determinano disagi per i profughi e per i cittadini.

A Gradisca c’era il CIE (Centro di Identificazione ed Espulsione). E oggi c’è ancora – dal 2008- il CARA (Centro Accoglienza Richiedenti Asilo) che lo stesso ICS ha più volte definito come situazione da superare.
La Regione ha improntato una certa modalità nella gestione dei migranti. Si tratta poi sempre di fare i conti con la legislazione nazionale. Il CIE è stato chiuso nel 2013 grazie alla richiesta al Governo italiano di questa stessa Giunta. Il CARA è attivo ma andrà presto superato. Quel modello non funziona. Quando una persona arriva qui e presenta la domanda per l’asilo deve poi attendere una risposta. In quell’attesa le persone devono essere collocate in una normalità quotidiana, e devono fare qualche cosa. Se si concentrano centinaia di persone in un unico luogo, se le si lascia a far nulla è ovvio che la situazione può diventare critica. Succederebbe in qualunque contesto, con persone di qualunque nazionalità. L’unico modello che ha dimostrato di funzionare è l’accoglienza diffusa. Ma c’è da dire che su questo manca un progetto politico, una convinzione del Paese. Non ci si può fermare a tamponare un’emergenza con il rischio che ogni giorno sfugga di mano la situazione. Ci vuole un modello che sia efficace, per i profughi e per i cittadini.

È il modello gestito nell’ambito dello SPRAR, il Sistema Per i Richiedenti Asilo e Rifugiati di cui è integrata l’opera dell’ICS a Trieste. Come funziona in Regione nello specifico?
Si tratta ad oggi di circa 40 comuni coinvolti nell’accoglienza diffusa. Che sono in crescita. I richiedenti asilo sono ospitati per lo più in case e appartamenti. Vengono seguiti nel quotidiano, vengono coinvolti in corsi di formazione e nello svolgimento di lavori socialmente utili. Come prima cosa viene loro offerto un corso di lingua italiana: comunicare con chi sta intorno è la base elementare della convivenza pacifica.

Qual è la situazione attuale dei flussi migratori in Regione? Tutti parlano di emergenza inaudita.
I numeri sono indubbiamente in crescita, anche se è sempre buona prassi relativizzare.
Oggi ci sono 30 milioni di italiani all’estero. Tra questi due milioni e centomila sono entrati negli Usa solo negli ultimi due anni. La migrazione è un fenomeno oggi più che mai inarrestabile. Le motivazioni a muoversi possono essere molteplici, ma il fenomeno è continuo.
Tuttavia è vero che la situazione è molto cambiata nell’ultimo anno. Ma io credo che l’emergenza non debba farci cambiare modello: quello che funziona resta solo quello dell’accoglienza diffusa e per quello dobbiamo continuare a lavorare.

I migranti in arrivo in questi ultimi tempi sono tutti richiedenti asilo?
Negli ultimi anni i migranti economici praticamente non ci sono più. La percentuale è molto bassa.
Le persone che attualmente arrivano in FVG lo considerano una tappa. Fanno la domanda di asilo ma il loro obiettivo è proseguire verso l’Europa del Nord dove ci sono loro comunità, conoscenti o parenti. Da sempre chi emigra tende a farlo in forma di piccola colonia. Oggi sono pochi coloro che sono intenzionati a fermarsi in FVG.

Ma la loro permanenza qui è lunga dato che sono estesi i tempi per ricevere una risposta alla richiesta di asilo. Di che tempi parliamo attualmente? Come funziona?
I migranti presentano una domanda di asilo alla Commissione competente che ha sede a Gorizia. Tale commissione fino a pochi mesi fa operava per FVG, Trentino e Veneto. Su nostra richiesta dalla primavera 2015 opera solo per la nostra Regione, in modo che la gestione di un numero decisamente minore di domande possa abbattere i tempi di attesa. Ma la prassi è complessa, richiede un esame individuale molto attento della pratica, l’incontro con la persona e così via. Attualmente siamo su una media d’attesa di un anno, che arriva a due anni se ci sono ricorsi.

Cosa si aspetta chi arriva qui?
Le persone oggi arrivano da situazioni estreme: guerre e conflitti. Sono fuggite da una quotidianità invivibile e hanno viaggiato lungamente e con difficoltà. Non parlo solo dei passeur. Anche una persona che viaggi da sola e parta, per esempio, dalla Siria arriva qui dopo un viaggio della durata media di 3 anni, fino a picchi di 6 anni. Si viaggia lentissimamente, all’inizio magari è solo una fuga senza meta precisa, poi ci si deve fermare e lavorare per sopravvivere. Poi si prosegue. In genere si tratta di giovani che vengono mandati avanti, in avanscoperta, con l’obiettivo di richiamare il resto della famiglia se la situazione, in un qualche luogo, lo consentirà. Sono le millenarie storie dell’emigrazione: si è sempre fatto così. A queste persone, una volta giunte qui, noi dobbiamo dare accoglienza e assistenza. E farlo in un modo funzionale a un equilibrio sul territorio.

Parliamo di fenomeni razzisti. Quanto contano i pregiudizi sui migranti?
Una parte di pregiudizio, di paura dell’altro che non si conosce c’è senz’altro. Il razzismo nasce da questo. Ma c’è anche un altro aspetto, credo, che riguarda la nostra società più in generale. Oggi, in una situazione di crisi e precarietà che tocca ognuno di noi, aumenta l’isolamento individuale. Si schivano le persone disoccupate, ammalate gravemente o colpite da qualche sfortuna. Come se la situazione sfortunata potesse essere contagiosa, Come se non si volesse vedere la sfortuna, il dolore. Lo si evita perché si teme di finirci dentro. C’è una grave carenza di cultura solidale, in generale. E questo naturalmente risulta amplificato con chi è straniero, che diventa il responsabile di un dispendio di denaro pubblico, un costo, un fastidio. Ma ripeto: queste situazioni si evitano soltanto se si favorisce l’integrazione, la vicinanza, la conoscenza.

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