Accadde cinquant’anni fa, esattamente il 12 e 13 maggio del 1974.
In quelle date il 59,3 per cento degli elettori italiani votò NO nel referendum sull’abrogazione della legge (la n. 898 del dicembre 1970) con la quale il divorzio era stato introdotto nell’ordinamento giuridico italiano.
Merita anche ricordare – specie rispetto a quanto succede oggi … – che l’affluenza al voto fu allora pari all’87,7 per cento del corpo elettorale.
Subito dopo l’approvazione della legge, nota con i nomi dei primi firmatari della proposta, cioè i deputati Loris Fortuna (PSI) e Antonio Baslini (PLI), era iniziata in realtà una violenta campagna propagandistica, tesa a cancellare il divorzio mediante l’appello diretto agli elettori avvalendosi della legge – anch’essa (la n. 352 del maggio 1970) di recente approvazione – sul referendum abrogativo.
Sia la gran parte del mondo cattolico, con la Democrazia Cristiana, il pontefice e le gerarchie vaticane in testa, sia l’estrema destra missina, cercavano infatti una rivincita dopo lo smacco subito in Parlamento con l’approvazione della Fortuna-Baslini.
Particolarmente impegnato – con toni accesi e oltranzisti – nella campagna per l’abrogazione fu tra gli altri l’allora segretario della DC, Amintore Fanfani.
Non mancarono però neppure i tentativi, da parte del PCI e di parte del PSI, di evitare il referendum mediante una trattativa con la DC che portasse all’approvazione in extremis di alcune modifiche alla legge 898 nel senso voluto dagli antidivorzisti, evitando così il ricorso alle urne e la paventata “divisione delle masse popolari”.
Falliti questi tentativi, anche per l’indisponibilità del vertice democristiano, si arrivò al voto con l’esito finale di cui si è detto.
Da un lato, la vittoria dei NO al referendum rappresentò la conferma definitiva dell’evoluzione – in corso da tempo – della società italiana, o per lo meno della sua maggioranza, nel senso dell’emancipazione dalle intromissioni delle istituzioni religiose cattoliche fin negli aspetti più intimi e personali della vita. Si trattò insomma della sanzione dell’ormai avvenuta secolarizzazione.
Dall’altro, l’esito referendario si collocò come decisivo punto di svolta – e allo stesso tempo di impulso – all’interno di una stagione straordinaria di riforme sociali in Italia, quale sono stati gli anni ‘70.
La stagione riformista di quel decennio era infatti iniziata nel maggio del 1970 con l’approvazione della legge 300 sullo statuto dei lavoratori, ed era proseguita appunto con la 898 Fortuna-Baslini sul divorzio, quella sull’obiezione di coscienza al servizio militare (n. 772 del dicembre 1972) e la riforma fiscale (legge delega n. 825 dell’ottobre 1971 e successivi decreti delegati dal 1972 al 1973). Al referendum del 1974 fecero poi seguito la legge Basaglia sull’abolizione degli ospedali psichiatrici (n. 180 del maggio 1978) e la legge 194 (maggio 1978) sul diritto all’aborto, fino alla riforma sanitaria (legge 833 del dicembre 1978). La legge 194 superò anche lo scoglio del referendum abrogativo – richiesto, con motivazioni opposte, dal Partito Radicale e dal Movimento per la Vita – con il voto del 17 maggio 1981.
Un complesso di riforme, va sottolineato, varate in un contesto politico e sociale quanto mai difficile – erano gli anni del terrorismo e della “strategia della tensione” – che fornivano tuttavia il quadro di un’Italia in cambiamento verso obiettivi di libertà personale e di equità sociale, all’interno di uno Stato laico, analoghi a quelli dei Paesi democratici più evoluti.
Nei decenni successivi si sono registrati sia molti passi indietro rispetto agli obiettivi ed e aiai contenuti di alcune riforme, sia tentativi – purtroppo riusciti – di vera e propria controriforma (un esempio per tutti: lo snaturamento della progressività nelle imposte sul reddito, fino all’introduzione della flat tax), che continuano tuttora. Non stupisce perciò che venga passata sotto silenzio – anche da parte degli eredi delle forze politiche che si batterono per il divorzio e per il NO al referendum del 1974 – la ricorrenza del cinquantesimo di quella grande vittoria di civiltà.
Dario Predonzan