– di Simonetta Lorigliola –
McDonald ha i fatturati a picco. Eppure aprirà in piazza Goldoni a Trieste. Vecchiume. Altrove si guarda già all’hamburger gourmet
Arriva l’ultimo martirio per la storica Piazza Goldoni. Nei locali ex Galtrucco, angolo via Silvio Pellico, arriverà McDonalds che sembra cercasse collocazione in centro città da un pezzo, trovando dinieghi in Galleria Tergesteo, in Cavana, in via delle Torri. Ai locatari triestini, evidentemente, l’idea di avere nel cuore storico dell’urbe il colosso multinazionale del junk food non andava tanto. L’attaccamento alla porcina è ancora tenace?
McDonald ora vive e vegeta al centro commerciale che i triestini chiamano Le Torri e fu al Giulia dal 1991 al 2009, anche se il fast food triestino esisteva già negli anni Ottanta, senza brand globali, e si chiamava, Il Coccodrillo. Che poi finì con il chiudere.
Ma Trieste era la città dei Buffet (a Trieste si pronuncia tutta la “t” finale) che proponevano la caldaia ovvero i diversi tagli e lavorazioni di maiale (porcina, testina, cragno, vienna…) da servire bolliti e caldi, magari nel panino (la s’ciopeta), con senape e kren. Una sorta di via di mezzo tra un fast e uno street food ante litteram e di tutto rispetto. Qualcuno ne è rimasto, ed è in gran forma.
Ma il problema non è la scelta tra cibo pop tradizionale dei fasti asburgici e fast food simbolo della globalizzazione. Anche il panino con la porcina può essere pessimo se il maiale è stato allevato in modo intensivo, nutrito di mangimi e curato, magari preventivamente, con antibiotici.
Ma sulla porcina c’è chance: il buon naso e la passione del singolo ristoratore contano e noi abbiamo tutto il diritto di chiedergli informazioni. Insomma: ci si può salvare e liberamente scegliere. Al fast food è difficile salvarsi. Nonostante grandi campagne di marketing finalizzate a ripulirsi dalla fama di offrire cibo spazzatura, in quei non luoghi della ristorazione si propone sempre cibo di scarsa qualità.
Naturalmente con un grande lavoro su aromi e profumi sintetici, debitamente studiati per produrre panini irresistibili. Basterà? No. Non basta.
Per capire che il fast food delle grandi catene è junk non occorre conoscere Super size me (2004, Usa), il documentario sulla storia di Spurlock, 33 anni, in salute e in perfetta forma fisica, che per un mese si alimentò a fast food. Era alto 188 centimetri e pesava 84 chilogrammi. Dopo 30 giorni guadagnava 11 kg, registrando un incremento della massa corporea del 13%. Senza contare gli altri scompensi fisici.
Diranno gli apologeti delle false libertà del gusto: “Un big mac una volta alla settimana non fa male a nessuno. E poi anche la porcina fa male perché è grassa!”. Sicuri che siano sullo stesso piano?
Ecco gli ingredienti di un hamburger Mac: carne bovina, acqua, sale, soia, saccarosio, destrosio, mono e digliceridi degli acidi grassi (da olio di cocco e olio di palma oppure da scarti della macellazione animale), stearoil lattilato di sodio, acido ascorbico, solfato di calcio, acetato di sodio, acido benzoico, calcio lattato (fonte Wikipedia). Non male per essere una polpetta di carne, come dovrebbe essere. E non indaghiamo sul pane, le salse, i formaggi…
Naturalmente un po’ di spazzatura ogni tanto non può ucciderci, ma chiediamoci se quel panino sintetico ci regala, gustandolo, veramente un piacere irrinunciabile.
Per capirlo è stato necessario riabilitare l’hamburger. Nelle grandi capitali europee ci hanno già pensato da una decina di anni. In Italia è novità trendy dell’ultimo biennio: il fast food rivisitato con ingredienti curati e realizzazioni da vera cucina. È nato il fast food delle delizie.
Hamburger gourmet a Parma propone pane, carne e verdure bio da piccole produzioni locali e le salse sono home made. A Livorno Borgo Burger ha verdure e carni bio maremmane, birre artigianali. A Milano non si contano più i locali, Verona ne inaugura tre nell’ultimo anno. Massimo Bottura, chef pluristellato, crea il suo hamburger. Ecco, così va il mondo. A Trieste invece siamo all’osanna per MacDonald, dato che “porterà lavoro” (malpagato e sfruttato). E sottometterà il nostro palato, lo stomaco e l’immaginazione culinaria al gusto globale, peraltro ormai molto sorpassato e dichiaratamente out.
Ma anche sul territorio della nostra regione gli amanti dell’autentico hamburger hanno scampo. Citiamo solo due mete, a noi care: Novecento all’Isola a Palazzolo dello Stella che propone (sin dagli anni casarsesi) l’Hamburger secondo noi: manzo di pascolo, servito con chips croccanti home made, le sue salse e pomodorini arrosto. E poi lo spettacolare e golosissimo Hamburger gourmet dell’Etna a Divača. Materie prime superiori per hamburger indimenticabili. Li mangiate al ristorante, perché di eccellenti ristoranti stiamo parlando, in un ambiente curato e piacevole, tra gentilezze e professionalità. Costano poco più del doppio dei burger tristi serviti nei fast food, che ormai sono decisamente old. Ma vi aprono un mondo.
Ditelo in giro: #esercita la tua libertà del gusto!