E infine è tornato per non spostarsi più: Bogdan Grom ha raggiunto definitivamente il suo Carso, quello di Sgonico. L’amata terra che gli ha dato vita ora accoglie i suoi resti.
Le sue ceneri sono stata deposte con una cerimonia in cui nemmeno le obbligate presenze politiche (una delle quali – il sindaco di Sgonico – ha tenuto un discorso trilingue: sloveno, italiano e inglese) disturbavano: segno che l’artista era ben voluto dalla numerosa gente che lo conosceva.

In cimitero il sole ha illuminato i presenti e la sua tomba (una sua scultura in scala ridotta di cui, qui a fianco, se ne può vedere l’originale). Nel mentre dei discorsi e del sole, gli uccelli non hanno smesso di cantare e, nella sua ultima canzone, il coro sloveno cantava proprio degli uccelli e del cielo che ci accomunava: un equilibrio legato o collegato a noi da vie tanto antiche quanto ignote.
Se fra le ceneri di Grom ci sia anche lo spirito (o duša o soul) non lo so di certo, ma so che la sua mano e il suo messaggio (di meraviglia, di bellezza, di curiosità) rimangono ancora e rimarranno fino a che lo potremo vedere e apprezzare. Un noi che avvolge tutti, comunità di affetti – Carso, America, parenti, amici – estimatori, critici, curiosi.
Ora Grom è entrato in un’opera che non poteva produrre, dopo tante fatte, e che attende ognuno di noi (siamo ancora al plurale). Una fine comune con un percorso diverso che continua e continuerà a darci ricchezza.
Riccardo Redivo
Konrad lo ha intervistato nei numeri 163 e 182 e ne ha parlato in K168, K180 e K192.
[Da Konrad n° 196, maggio 2014]