Tra i molti parametri utilizzabili per misurare la grandezza di uno scrittore c’è, a mio parere, anche la sua capacità di parlare di cose che nulla (in teoria) hanno di letterario, rendendole vive ed elevandole al rango di massimi sistemi. Hermann Meleville con il racconto Io e il mio camino, dimostra quanto la letteratura che conta poco abbia bisogno di grandi tematiche o grandi artifici essendo sufficiente, per fare grande arte, anche un oggetto qualsiasi come, nel caso in esame, il camino di cui al titolo (mi permetto una memoria personale che mi ricorda la commozione, davvero straziante, provata nel leggere John Fante che parlava di una… betoniera!).
Ecco, quindi, che questo racconto elegge a insoliti protagonisti un vecchio e cocciuto narratore e lo spropositato camino che troneggia nella sua casa (“due vecchi fumatori dal capo grigio”, così li dipinge Melville fin dalla primissima riga), un gigantesco manufatto che attraversa verticalmente i tre piani dell’edificio, elevandosi a “signore assoluto” non solo dell’abitazione, ma dei pensieri e della vita del narratore.
Una premessa certo poco convenzionale che trova compiutezza fin dal titolo, laddove Melville utilizza il pronome personale (“I”) posizionandolo a precedere l’altro soggetto (“my chimney”) contravvenendo alla forma di cortesia tipicamente anglosassone che, in un elenco di soggetti, imporrebbe di posporre l’”I” a tutto il resto. Un’anomalia sintattica che il narratore di Melville giustifica fin da subito come un veniale peccato di vanità nei confronti di colui che, di fatto, è e rimane l’unico, indiscusso protagonista della vicenda (il camino, cioè), ma che ben sappiamo provenire da un autore pienamente consapevole che la preminenza “di posizione” data al narratore significa che è lui, il narratore, il vero focus di tutta la vicenda. Pur se sovrapposto al camino, di cui assume tutte le principali caratteristiche (stabilità, imperturbabilità, ostinazione…) utilizzate per descrivere la poderosa struttura muraria ma sottese a evidenziare le caratteristiche del narratore stesso.
Questo solo per dar conto del fatto che Melville sa benissimo quello che fa, ben sapendo, al contempo, che dopo una gustosissima prima parte in cui per portare avanti la narrazione e l’attenzione del lettore è sufficiente il divertimento conseguente all’antropomorfizzazione del camino, da lì in avanti sarà necessario introdurre un elemento di dinamicità che conduca a una svolta narrativa. E tale elemento si condensa nella figura della moglie del narratore – grande la sapienza di Melville nell’introdurla dapprima di sfuggita, all’interno di una parentesi, come se la mole del camino oscurasse lei e tutto quanto, per poi rivelarla lentamente nel corso della vicenda – vera e propria antagonista cui è affidato il compito di minare l’equilibrio iniziale che sorregge narratore e camino. La donna, infatti, darà sostanza all’intreccio del racconto con i suoi tentativi di eliminare/abbattere/ridurre la grande costruzione fumaria per i più svariati motivi che vanno dal bisogno di spazio, all’esigenza di ricavare un vestibolo in casa, fino alla possibilità di trovare, nel camino, una camera segreta all’interno della quale potrebbero celarsi i tesori lasciati da un vecchio antenato.
Riuscirà nell’intento? Fino a che punto l’immutabilità e la coerenza di narratore e camino sapranno preservare la propria idea di mondo? Al di là dell’esito finale, è comunque affascinante notare come alcuni temi nell’opera di questi grandi scrittori si evolvano e mutino continuamente conservando, però, il cuore puro di un’idea che spesso è ossessione. Al punto che l’immutabilità del narratore di Io e il mio camino, la sua resistenza al cambiamento, racchiudono forse lo stesso disperato stupore di un impiegato di Wall Street di fronte alle contingenze della vita, la stessa incomprensione di un naufrago di fronte alle scelte scellerate di un baleniere, la medesima, brutale ostinazione di un capitano folle che comanda la sua nave verso la rovina. Mentre noi lettori, attoniti, offriamo la nostra meraviglia al cospetto della grande narrazione.
Ivan Zampar
Io e il mio camino tratto da Bartleby lo scrivano e altri racconti di Herman Melville, I classici Bompiani 2018, traduzione e nota di Alessandro Roffeni, 174 pagg.
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In Copertina: Foto di Fabio Gon, Immutabilità