Fioriva una rosa di Piero Chiara
La bellezza e, perché no, l’importanza del lavoro di Piero Chiara sta, a mio avviso, nella restituzione che esso opera di un mondo e di una certa idea di racconto che forse si è oggi un po’ persa. Quell’idea per cui una storia non deve necessariamente occuparsi di massimi sistemi o disvelare le recondite profondità dell’animo umano, ma può tranquillamente occuparsi di raccontare una vicenda che si proponga di intrattenere, emozionare, divertire. Ecco, quindi, che le storie di Chiara, all’interno di precise coordinate geografiche e temporali – siamo nell’alta Lombardia dei laghi a un passo dal confine con la Svizzera in quel periodo che dal ventennio fascista scollina nel dopoguerra e oltre – raccontano di tipi umani, adulteri, sotterfugi, piccola vita di provincia, gioco d’azzardo, con quel gusto antico tipico dei cantastorie che, al di là dell’apparente semplicità, svolgono il prezioso ruolo di testimoni di qualcosa che non è più, evitandone le perdita e perpetuandone la memoria.
Un compito, questo, non meno nobile di quello del grande romanziere che scandaglia le pulsioni dell’anima, e che Chiara porta avanti, comunque, con grandissima intelligenza e altrettanta onestà. E con una scrittura, oltretutto, raffinata e godibilissima. Una prosa elegante, la sua, che fa un ampio uso di corpose perifrasi sempre venate da un’ironia che rende la sua prosa avvolgente e irresistibile.
Fioriva una rosa, in particolare, si muove sul versante maggiormente malinconico di Chiara, raccontando di un amore sì adulterino, ma rimasto principalmente nelle intenzioni, portando i due protagonisti a un legame che, in qualche modo, ha resistito agli anni e alle distanze, trascinandosi dietro rimpianti e possibilità. Una storia che ha il suo culmine emotivo in una scena vissuta su un’isoletta in mezzo a un lago dove il narratore e Livia Orlandi, coniugata con Fortunato Lo Pinto, insegnante della O.N.B (Opera Nazionale Balilla) si scambiano un bacio, interrotto da un improvviso temporale che li costringerà sull’isola più del previsto. Ad assisterli in questa passione non colta, ma testimone del disagio esistenziale della donna, una rosa che pende tra le pietre di un castello in rovina e che il temporale spoglierà dei petali. Seguirà il ritorno a terra, la gelosia del marito, il suo allontanamento da quei luoghi assieme alla moglie, il pensiero mai esausto del narratore per la donna e ciò che essa ha rappresentato, fino al ritorno al luogo del “tradimento” a raccogliere i petali di quella rosa che, nel frattempo, è ricresciuta. Petali ritrovati avvizziti, molti anni dopo, tra le pagine di un quaderno, allo stesso modo di una possibilità non colta, di un passato mai diventato presente.
Non utilizza scarti di ritmo, Chiara, mantenendosi pacato nel tratteggio, quieto, al pari dell’acqua liscia dei suoi laghi, spoglio dall’impeto di una qualche epica. Una delle innumerevoli storie di paese che ha tratteggiato, ma sempre gustosissime e preziose proprio perché superano il bisogno di essere velleitarie e ci aiutano a comprendere chi siamo stati.
«Si può dire che da noi il mondo veniva conosciuto non sui libri o sulle carte geografiche, ma dai racconti di quelli che erano stati fuori e attraverso le loro avventure… Erano vedute diverse, ma più vere di quelle che a me toccò poi di scoprire nei libri, oppure andandovi di persona». Così scrive Chiara in uno dei passaggi de Il piatto piange, uno tra i suoi romanzi più celebri, intuendo e rivelando le verità nascoste in un racconto e nella trasmissione di un’esperienza attraverso le parole. Quasi ci chiedesse, ancora adesso, di liberarlo dall’ingiusto oblio in cui lui e la sua opera sembrano oggi essere caduti, recuperandone la memoria e dando testimonianza dell’onestà di un ottimo e onesto autore.
Ivan Zampar
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In Copertina: Foto di Fabio Gon, Acque Calme
Fioriva una rosa, tratto da Le corna del diavolo e altri racconti, Mondadori editore 1977, 382 pag.