In Italia, la gestazione per altri (GPA), comunemente nota come “utero in affitto” o maternità surrogata, diventa un reato universale, perseguibile anche se praticata all’estero da cittadini italiani. La pratica era già vietata nel nostro Paese dalla Legge 40 del 2004, che regola la procreazione medicalmente assistita e prevede pene fino a due anni di reclusione e multe fino a un milione di euro per chiunque la pratichi. Tuttavia, fino ad oggi, molte coppie che desideravano diventare genitori tramite questa modalità potevano recarsi in Paesi esteri dove la GPA è legale, senza incorrere in sanzioni una volta rientrate in Italia.
Con il voto favorevole del Senato il 16 ottobre scorso, la proposta di legge avanzata da Fratelli d’Italia per rendere la gestazione per altri un “reato universale” è stata definitivamente approvata. Questo significa che cittadini italiani che si avvalgono di questa pratica in un Paese estero, anche se la GPA è legale in quel Paese, potranno essere perseguiti penalmente al loro ritorno in Italia. Il concetto di “reato universale” prevede infatti che la norma si applichi indipendentemente dal luogo in cui il fatto viene commesso, estendendo così la giurisdizione italiana su una pratica che, a livello nazionale, è già vietata.
La legge ha suscitato un ampio dibattito, dividendo l’opinione pubblica e creando contrasti tra sostenitori e oppositori della norma, dividendo fortemente le opinioni a favore e quelle contro. Certo è che l’applicazione della nuova legge solleva interrogativi, in quanto la sua attuazione potrebbe comportare difficoltà per famiglie che hanno fatto ricorso alla GPA all’estero prima della sua entrata in vigore. Per queste famiglie e per i loro figli, le implicazioni legali non sono ancora del tutto chiare e dipenderanno anche dall’interpretazione giuridica e dalle future sentenze.
Giorgia Chiaro