di Simonetta Lorigliola
Una lettera aperta della FIVI (Federazione Piccoli Vignaioli Indipendenti) al Ministro per le Politiche agricole Martina: semplificare la burocrazia per garantire la sopravvivenza ai piccoli produttori che sono anche custodi del territorio

Vignaiolo. Parola riscoperta dalla grandezza culturale di Luigi Veronelli. Il fondatore del giornalismo gastronomico ed enologico italiano la utilizzava come baluardo semantico nella sua instancabile e disinteressata lotta al fianco dei piccoli produttori, che amavano la terra, la vite e i vino.
Vignaiolo era solo colui che nel suo podere, ogni giorno, viveva il rapporto con la terra, la custodiva e curava per realizzare con rispetto e attenzione il miglior vino possibile.
Un termine scelto e giocato in contrapposizione alla dimensione industriale e dei grandi gruppi produttivi che detenevano la maggioranza nella produzione di vino, in un sistema in cui era importante solo la quantità e il conseguente profitto.
Era così negli anni Sessanta, quando il grande anarchenologo scriveva su questi temi, ma oggi le cose non sono cambiate di molto.
Le piccole produzioni sono ancora le cenerentole del sistema vinicolo italiano.
Se in paesi come la Francia il vigneron è guardato, rispettato e tutelato da normative che tengano conto delle piccole dimensioni e del suo importante ruolo di custode del territorio, in Italia è come se il vignaiolo quasi non esistesse. La legge è uguale per tutti, anche se non tutti sono uguali.
“Il vino buono non si fa con la burocrazia. Non accettiamo l’imposizione dei registri dematerializzati! Non vogliamo alimentare un’economia virtuale e parassitaria. È necessaria un’inversione di tendenza, una rivoluzione delle norme; dobbiamo dire forte e chiaro che bisogna interrompere questo stillicidio di procedure, obblighi, corsi, patentini, registri che stanno strangolando le nostre aziende”.
Dicono i vignaioli aderenti alla FIVI in un appello rivolto al Ministro Martina che ha raccolto in pochi giorni oltre 200 adesioni.
I registri dematerializzati a cui si riferiscono sono stati istituiti con Decreto Ministeriale n. 293 del 20 marzo 2015, (“Disposizioni per la tenuta in forma dematerializzata dei registri nel settore vitivinicolo”) che stabilisce, in conformità con la normativa europea, le modalità di tenuta dei registri in forma telematica nel settore vitivinicolo e delle relative registrazioni. Sono state stabilite poi successive proroghe per l’attuazione del Decreto, ma dal 1 gennaio 2017 i Registri sono entrarti in vigore. Il problema è che questa certificazione telematica si aggiunge a una serie infinita di altri adempimenti burocratici, senza alcuno sconto o semplificazione.
Li fanno i grandi gruppi, come li fa il piccolo agricoltore, che non ha mai un ufficio amministrativo, una segretaria, un impiegato che possa occuparsene. Deve sottrarre tempo ed energia al vigneto, alla cantina. E spesso non ce la fa.
I vignaioli non hanno messo in atto una protesta ideologica a sfondo corporativistico.
Il loro discorso rimanda a una attenta analisi e a un’aperta visione generale:
“In Italia ci sono 52 mila produttori e di questi 48 mila imbottigliano meno di 1000 ettolitri, il 53% della produzione è ottenuta dalle cantine cooperative, mentre la superficie media è di soli 1,6 ettari. Rappresentiamo circa il 90% dei produttori e non più del 30% della produzione totale. Perché allora non pensare un sistema adatto alle esigenze del maggior numero di produttori?
Siamo quelli che abitano e conservano i borghi rurali e i loro territori che, senza di noi, andrebbero irrimediabilmente in abbandono. La burocrazia sta uccidendo le nostre aziende e il nostro sistema agricolo, fatto esclusivamente di micro imprese.
Crediamo che si debba rallentare questa corsa alla burocratizzazione estrema, dove per ogni azione concreta sono richieste decine di pezzi di carta e gigabyte che tanti di noi non hanno la possibilità di seguire, di compilare e di pagare: i nostri piccoli numeri ci impongono delle scelte, e noi alla fine dobbiamo scegliere sempre la terra, la pianta, il vino.
Non siamo più disposti a dover pagare corsi e consulenti per poter fare il nostro lavoro. In pratica, non vogliamo mantenere un’economia virtuale e parassitaria, spesso rappresentata dalle associazioni di categoria, sindacati o società di consulenza.
Il tutto col beneplacito di chi avrebbe dovuto difendere la nostra vita e il nostro lavoro: si chiamino associazioni di categoria, sindacati o altro ancora, di antica o recente costituzione.
Vogliamo reagire, rispondere, non per ottenere qualche mediocre compromesso, ma per imporre la nostra idea di lavoro, di rapporti umani; per riappropriarci del nostro tempo. A questo si aggiunge il fatto che delegare tutti gli adempimenti a servizi on line richiede una connessione potente e veloce e forse non ci si rende conto di quale sia lo stato delle ADSL nelle campagne italiane.
Non si comprende perché le uniche esenzioni concesse siano a favore delle piccole produzioni che effettuano vendita diretta in azienda o per quelle fino a 1000/hl che non imbottigliano. Sembra che l’obiettivo sia quello di ostacolare la partecipazione delle piccole aziende al Mercato Globale, riservandolo così alle grandi imprese”.
L’appello ha il sapore di una sana e necessaria civile battaglia:
“Comunichiamo che se non otterremo quanto richiesto, avvieremo una Campagna di DISOBBEDIENZA CIVILE invitando tutti i vignaioli italiani a non ottemperare alle richieste di adeguamento ai registri telematici”.
Concludono i vignaioli:
“Il cuore della nostra protesta è mettere in evidenza il ruolo centrale che le piccole aziende svolgono nella salvaguardia dell’ambiente e del territorio nel suo complesso. Il soffocamento di queste piccole realtà non potrà che passare la mano a un tipo di agricoltura che inevitabilmente distruggerà la risorsa primaria”.
La risorsa primaria è, ovviamente, la terra. Ma anche la Terra.
Per maggiori info Vista il sito della FIVI
1 comment
Se vuoi distruggere una nazione non è piu’ necessario fare una guerra, basta inondarla di burocrazia inutile.