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Piumini
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Nel magma di Piumini

Tempo di Lettura 6 Minuti
Piumini
Roberto Piumini

Roberto Piumini (che ho incontrato nella sua casa di Milano il 5 gennaio di quest’anno) è un vulcano perennemente attivo: nato nel 1947, è poeta per bambini, per adulti, scrittore, attore, cantante… L’ingegno, le idee, le esperienze di Piumini sono un magma colante di vita non circoscrivibile in un’intervista. Qui di seguito troverete un piccolo estratto dal suo magma incandescente, un fiume narrativo che qui paleserà la propria densità in qualche goccia. Buona avventura!

[Con la marea piuminiana, la mia domanda iniziale sulla messa in musica dei suoi testi si è perduta, è colata a picco per emergere in risposte che la sfiorano]
Il mio problema, forse l’hai capito, è quello della – non è snobberia – totale incapacità, insofferenza, ad applicarmi alla difesa, promozione, valorizzazione delle mie cose. Per cui io non ho tutti i miei libri, perché sarebbe impossibile, non li curo, non sto a preoccuparmi […] se si trovano, se non si trovano, se mi scrivono: “ma non troviamo il suo libro”: che ci posso fare? Chiedetelo, non so. Vivo nella palese illusione che gli editori facciano il loro lavoro.
[…] Ecco, una cosa – che poi ha a fare con la musica (perché molte di queste cose sono diventate anche opere o elaborazioni musicali) – sono i miei famosi “scritti locali”: io, nel corso di un periodo in particolare della mia carriera, […] dagli ottanta fino al ’95, ho scritto una quarantina di testi poetici su materiali locali, cioè materiali che mi venivano dati (fotografie, disegni, memorie, mappe, oggetti, testimonianze, disegni anche artistici, anche elaborazioni fantastiche, reperti sonori, oggettini trasportabili), tutti in scatoloni, con insegnanti che stavano al gioco perfettamente. Io li frequentavo, prima mi sputtanavo con delle classi, facendo vedere il poeta, “eccomi qua, io puzzo come tutti, non sono uno fuori…

Bello bello, bravissimo.
…sono uno che faccio delle parole, no? Sono uno bravo a fare delle parole, ma bravo cosa vuol dire? Adesso vediamo, facciamo un gioco e lo scopriamo. Datemi qualcosa di qui, del paese, che io non conosco, ma datemelo in una forma abbondante, non esagerata; ragionate un po’ su che cosa può servire a uno che non è di qui per sentire certe cose, per sapere certe cose…. Mettete tutto in uno scatolone tridimensionale, quindi non su carta bianca… poi vengo a prenderlo, me lo porto a Milano, me lo tengo due mesi come voi avete impiegato due mesi a raccogliere il vostro materiale. Mi prendo un bel tempo anch’io, perché tanto contemporaneamente sto facendo altra roba, abbiate pazienza, e io vi giuro e vi prometto che vi porto, primo, una poesia”. Perché? Perché con la poesia sono libero: posso reagire con la poesia molto più liberamente che con la prosa, che avrei bisogno di un ordine, di una… tattica, di una sequenza; invece con la poesia posso darci dentro, poi dopo sarà in realtà una poesia molto riconoscibile, molto narrativa, però sul piano microlinguistico, più micro che macro, potrò fare quello che vorrò. Sarò molto più giocoso con la poesia. “Prometto che sarà una poesia e che avrà dentro tantissime cose vostre. Come? Non lo so, ma vi assicuro che ci saranno tante”, e infatti facevo tutte ’ste robe: mi ricordo ogni tanto entravo in casa, stendevo tutte queste cose, che soprattutto erano cose visive. Gli insegnanti capivano che meno formalizzavano in parole il materiale dei ragazzi, meno loro si creavano aspettative testuali, cioè erano più legati all’emozione, poi avrebbero avuto un atteggiamento, no?, più sensoriale rispetto al testo, rispetto che se avessero creato…

Che classi?
Beh, prevalentemente medie, ma dal secondo ciclo alle superiori, modello che poi ho continuato a fare con Giovanni [Caviezel] in microlaboratori veloci, chiamati “Immagine e parola”, anche per adulti, per molti anni a seguire. […] Quindi un lavoro bello, per me, stimolante. Bellissima anche la risultanza poi, soprattutto dove c’era l’insegnante che sapeva scavare con il testo, con una facoltà di, come dire, apprendimento dei ragazzini, evidentemente all’ennesima potenza rispetto a Dante, con rispetto parlando, che si trova sul libro, perché a me mi conoscevano, li avevo fatti ridere, li avevo sfidati…

Tu sei vivo e sei lì.
Sono lì in situazione, poi simpatizzando. Ebbene qui, questa roba grandiosa, è stata la prima ed anche la più bella, questa esperienza […] con cinque classi, coordinate da questa signora professoressa, che poi ha dato origine a rappresentazioni teatrali […], dei filmati e una mostra in una chiesa sconsacrata, in cui c’era il testo mio, e poi tutti i riferimenti che i ragazzi in lettura avevano trovato… cioè una linguistica meravigliosa, da un punto di vista proprio di base. E poi, dopo, pubblicazioni locali, litigi col sindaco, perché c’era stata una strega nel poema che aveva detto certe cose…

Vabbé, va benissimo…
…e via. Ecco, su quel modello lì ne ho fatte altre, sull’onda di quell’entusiasmo, di quella scoperta: ne ho fatte un’altra quarantina, sparse un po’ dappertutto […]. Chiaro, ci dovevano essere delle persone che avessero cultura, voglia di togliere tutte le sottoculture sulla poesia, eccetera, sufficienti insegnanti un minimo decodificatori (non impauriti o intimiditi dalla poesia) e anche un amichevole sostegno politico per le questioni logistiche e monetarie – perché noi lo facevamo pagare, poco, ma comunque era un lavoro che mi impegnava per periodo lunghi, in cui facevo cinque, sei, sette volte le visite. Quindi una cosa di cui io sono più orgoglioso da un punto di vista, chiamiamolo, politico di tutta la mi scrittura, perché è un modo diverso di essere…
[…] Spesso mi chiedono: “tu preferisci scrivere per bambini o per adulti?” […] [per bambini] è più facile, certamente, però non è neanche l’ora di spiegargli il perché. Ultimamente io me la cavo così, allora: se per “scrivere per” vuol dire la scrittura proprio letteraria, mi piacciono tutte due le cose: in una faccio un certo tipo di gioco, consapevole, accettato, perché se scrivi per bambini – non ci sono santi – sai che scrivi per bambini, magari non parlerai di gnocca, questo non gliene frega nulla a loro, non farai psicologismi, anche perché non gliene frega nulla. Accetti, no?, il codice, ma non è che fai il bambino tu: lo sai, come quando giochi fisicamente col bambino, non è che usi tutta la forza che hai, con tutte le malizie…

Moderi.
Moderi, accetti alcune regole, dentro quelle però ti lasci, fai tutto, lo stupisci, lo stimoli, lo sconvolgi, all’interno di un’area di sconvolgibilità linguisticamente chiara. Quando scrivo per adulti è un altro gioco, lì non c’ho che un adulto consenziente davanti a me, posso sfogarmi, anzi tendenzialmente faccio giochi più elaborati. Difatti, come autore per adulti, sono più letterario, molto più letterario degli autori medi per adulti, che mi fanno solo per adulti, perché per compensazione, non perché mi manca questa cosa, ma perché sono giochi che, non facendo da una parte, posso… son due cose belle tutt’e due, e mi piacciono tutt’e due, non vedo il motivo per smettere.
Ma se per “scrivere per” gli uni o per gli altri vuol dire l’esperienza globale, non c’è paragone, è infinitamente più bello scrivere per i bambini. Perché? Ma perché se scrivo per adulti cosa mi faccio? Non ti dico una cosa simpatica, mi faccio una pippa mia, bella, mistica, singolare, la metto giù, ah che bravo che sono, c’ho un orgasmo narcisistico, prendo la cosa, la infilo in un libro privato, un oggetto che se ne va attraverso canali monodimensionali in un altro, davanti a un altro singolo che si legge la cosa, gli piace, non gli piace, non sa un cazzo neanche lui, ma da solo; rarissimamente scrive all’autore (“quanto sei bravo”, “quanto sei bello” o “quanto sei coglione”), di solito si consuma la sua esperienza in solitudine. Schak, schak! [batte le mani come per scrollarsi la polvere] Finita lì. Se scrivo ai bambini, per gruppi, per famiglie, per mamme e bambini, per situazioni teatrali, per classi, per gruppi teatrali, mi chiamano, mi scrivono, mi mandano cazzate pazzesche, elaborazioni, disegni tremendi su quello che fanno; ma non importa, mi vogliono incontrare, creano situazioni o le creo io per loro, faccio incontri, spettacoli, trasformo quella roba lì in uno spettacolo, poi glielo facciamo vedere…

Tutta un’altra risposta.
È tutta un’altra risposta.

Riccardo Redivo

[Da Konrad n° 164, marzo 2011]

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