– di Eleonora Molea –
Sulle Ande boliviane e peruviane persistono da millenni due etnie che si suddividono ancor oggi il territorio: quechua e aymara. Malgrado l’emarginazione che subirono con l’arrivo del colonialismo, il loro senso identitario, di appartenenza e solidarietà, si è perpetuato nei secoli e fu la forza centrifuga per le ribellioni e forme di resistenza all’oppressione e alle ingiustizie subìte. Rispetto alle grandi città in cui le influenze dei modelli economici di origine europea hanno prevaricato il sostrato locale, i villaggi più distanti dai centri urbani riflettono ancora la loro antica organizzazione e mantengono il controllo diretto su molte aree ecologiche.
Nell’area del lago Titicaca, sin dai tempi della cultura Tiwanaku prima (VIII secolo a. C.) e l’impero incaico poi (XIV secolo d. C.), l’organizzazione sociale era di tipo comunitario e si basava sulla condivisione della terra e il lavoro in comune, gestendo le risorse umane e alimentari tramite rapporti di parentela. La struttura portante della società era l’ayllu, un sistema organizzativo solidale collettivista che interagisce ed emula la forza e l’energia della Pacha, la Terra. Diversi studiosi continuano ad analizzare questo sistema sociale, sia in campo etnografico che economico. L’ayllu è strettamente legato in rapporto al territorio in cui vive e che condivide: la terra è proprietà comunitaria, ridistribuita periodicamente tra i famigliari in modo da non trasformare il diritto di utilizzo in diritto di alienazione. In questo modo la proprietà è giustificata dal lavoro comune e non vi è distinzione tra la proprietà e la possessione. I legami di parentela sono accentuati e garantiti dall’appartenenza di un antenato comune, il cui spirito risiede nel territorio (nelle achachillas). La base dell’organizzazione economica poggia su relazioni di reciprocità attraverso l’ayni, ovvero la mutua solidarietà tra i membri della comunità nella pratica di vita quotidiana. Per la tradizione andina l’ayni è il principale insegnamento morale, che si fonda su valori quali lo scambio, la reciprocità, l’atto di dare e ricevere, l’accumulare per ridistribuire. Si tratta di un principio sacro che ha come scopo massimo la suma qamaña, concetto che esprime il buen vivir, il vivere bene, in armonia, rispetto e sostenibilità con la Madre Terra, la Pachamama.
Etimologicamente, per suma si intende “bello, splendido, buono, amabile, eccellente, completo, perfetto”. Qamaña invece significa “abitare, vivere in un certo luogo, dimorare, stabilirsi”, ma è anche il nome che si dà al riparo usato dai pastori per riposare mentre pascolano le greggi, costituito da un semicerchio di pietre. Il termine quindi suggerisce anche la convivenza con la Pachamama, benché questo significato non sia esplicito. La combinazione di questi due termini significa molto di più della sua traduzione letterale. Per le popolazioni andine la suma qamaña è un modello di vita in cui tutto l’insieme sociale debba stare bene, in armonia, in quanto non è possibile riferire il termine alla condizione di una sola persona rispetto agli altri. Il benessere e il miglioramento della qualità della vita è un processo collettivo nel corso del quale vengono intessuti legami di convivenza. Questa convivenza è concepita, secondo la tradizione andina, non solo tra gli esseri umani, bensì abbraccia tutto l’ambiente, gli animali, le piante e la Pachamama, un tutto olistico con cui viene stabilita una relazione di reciprocità. E proprio secondo i principi della suma qamaña le comunità andine hanno utilizzato delle tecnologie agricole in armonia con il territorio e grazie alle quali hanno vissuto in prosperità fino alla Conquista.
Oggi, il capitalismo sembra aver prevaricato i saperi locali, obbedendo a scelte effettuate in nome del profitto e del pieno controllo della Natura. Da quanto potuto constatare durante diverse esperienze in quei territori, le popolazioni andine, nel voler adottare a tutti costi lo “sviluppo” inteso in senso moderno e occidentale, hanno confuso il senso del vivere bene che avevano da sempre conosciuto, purtroppo a loro discapito. Una nuova attenzione verso i valori tradizionali e le antiche conoscenze geografiche può però essere un’alternativa all’inarrestabile corsa verso l’attuale modello economico, basato sullo sfruttamento indiscriminato delle risorse.