– di Riccardo Ravalli –
Come salvare la montagna dalla marginalizzazione?
Se beviamo acqua e di mattina una tazza di latte o yogurt con mirtilli. Se abbiamo la fortuna che il nostro mobilio o le travi del tetto siano di legno, più o meno massiccio. Se apprezziamo la musica, specialmente classica o antica. Se amiamo andare a sciare o a ciaspolare d’inverno o cerchiamo in alto, rifugio dall’afa estiva…
Allora, pur a livello del mare, dobbiamo ringraziare la montagna. Un gigante che consente tutto questo e molto altro, proprio grazie al suo essere e al frutto di sapienti tradizioni umane.
Ma oggi questo non è riconosciuto. Neppure da chi vive sopra quota mille o giù di li. Pure il famoso gigante non se la passa bene. Saranno l’età, qualche centinaio di milioni d’anni, o i reumatismi, dovuti al clima che cambia: piove, forse troppo o, se e quando nevica, avviene in modo anomalo. I delicati equilibri millenari sono spesso alterati dallo sfruttamento intensivo di luoghi e di risorse. Si dissolve il mondo delle nostre vacanze che vorremmo intatto ed immutabile come una bella, vecchia, cartolina.
In quota, rispetto alla pianura, cambiano i prodotti ed aumentano i disagi ma il territorio, come un campo di pianura, deve consentire di vivere.
Relazioni complesse si sono modificate nel tempo. La gente di montagna ha mantenuto quest’ambiente così com’era per secoli, ed ora non gradisce osservazioni e consigli.
Però anche noi turisti e le nostre richieste sono cambiate: in passato, il turismo montano di nicchia si appoggiava sulle prime guide che altro non erano che cacciatori, allora accomunati ai clienti nelle silenziose e comuni fatiche delle ascensioni. Oggi le passeggiate sono rese spesso artificiali da rombanti motoslitte. Simbolo di richieste diverse che vanno attentamente gestite.
Aiuta un confronto tra i due versanti delle Alpi. Da noi l’agricoltura è da molto tempo in fase di recessione e la montagna si spopola. Contemporaneamente si ampliano i paesi sul fondovalle, analogamente ai grandi centri urbani di pianura. In Austria invece quest’abbandono non si è verificato e nuove opportunità di vita convivono e arricchiscono un mondo antico. Perché?
La presenza umana e il rispetto di basilari norme di gestione territoriale sono un’assicurazione per la tutela della biodiversità e la difesa dal dissesto idrogeologico. Oggi sempre meno uomini e donne di montagna ci difendono e mantengono un mondo ove possiamo ancora evadere.
Come li ripaghiamo? Chiudendo e tagliando i rami secchi: uffici postali di montagna, piccole scuole, per non parlare di ospedali.
Si perdono antiche professioni, languiscono produzioni agricole. Non assecondiamo né un turismo sostenibile né l’attività di piccole iniziative virtuose che potrebbero creare lavoro.
Come rallentare la progressiva marginalizzazione di questo mondo? Con strategie innovative di riscoperta di tradizioni secolari, ad esempio nella filiera del legno pregiato e degli strumenti musicali, ottenuti con gli abeti di risonanza. Ma non basta certo suonare e sognare. Pensiamo agli alpeggi abbandonati, ai formaggi penalizzati da norme igieniche troppo burocraticamente rigide. Dove sono quei giovani che potrebbero alimentare i progetti di rinascita delle Terre Alte?
Molti sono rinchiusi nei centri di accoglienza, quasi in prigione, senza alcuna reale prospettiva se non vendere cianfrusaglie, sprecando la loro esistenza e smarrendo identità e professioni. Non sono accettati né visti come persone: sono un problema, un costo. Erano/sono contadini, pastori, pescatori, falegnami, fabbri ed artigiani. Erravano o lavoravano in Asia o in Africa, in condizioni al limite.
Qualcuno di loro ha già avviato con successo interventi di ripristino di terrazzamenti. Per uscire dalle crisi, bisogna investire sul territorio, sulle strutture e sulle persone. Ad esempio, favorendo cooperative multietniche che potrebbero resuscitare un mondo in via d’estinzione, aiutando a ricostruire sentieri e rifugi, rivitalizzando tradizioni e malghe. Più a valle ci sono da sistemare, sotto la guida di esperti, gli argini dei torrenti. Alcuni potranno riportare poi le nuove abilità acquisite nei luoghi d’origine.
Vedo purtroppo molti ostacoli per queste utopie concrete e non solo finanziari: quanta strada da fare per agire localmente, pensando globalmente e realizzare i sogni delle Agende 21, fiorite al sole di Rio, alla fine del millennio scorso.