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Dall’archivio di Konrad: LA CORTINA DI FERRO E LA TUTELA DEL CARSO
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Dall’archivio di Konrad: LA CORTINA DI FERRO E LA TUTELA DEL CARSO

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Due anni fa cadeva quel tragico e artificioso confine tra Italia e Slovenia, di cui già molti hanno estesamente scritto e detto.

Eppure, tra le recriminazioni del passato e le opportunità per il futuro, va sottolineato un aspetto peculiare, almeno per il confine che attraversava il Carso. Peculiare già per il fatto che si è forse trattato dell’unico aspetto veramente positivo, di questa invisibile barriera amministrativa.

Il confine carsico fra Italia e Jugoslavia ovvero “tra l’occidente democratico e la tirannide totalitaria” è stato di fatto il principale motivo di tutela del Carso. Tra gli anni ’30 e gli anni ’80 del secolo scorso hanno fatto da padrone le leggi della ricostruzione, del boom economico e dello yuppismo, mentre una moderna e diffusa coscienza ambientale, soprattutto supportata da leggi adeguate, era ancora ben al di là da venire. Senza nulla togliere a chi si oppose fermamente alla zona franca industriale sul Carso, il nostro splendido altopiano è stato tutelato da quell’odioso confine quasi quanto da un Parco Nazionale. Lungo la linea che tagliava il Carso per tutta la sua lunghezza e che veniva quotidianamente pattugliata dai temuti “Graniciari” (temuti spesso da entrambe le parti del confine, visto che venivano scelti sempre militari non sloveni) pochi potevano o volevano costruire o fare qualcosa. Me li ricordo i Graniciari, quando, ai tempi dell’adolescenza, con pochi amici coraggiosi (mia madre direbbe: “incoscienti”) andavamo fin a ridosso del confine. Confine in molte parti riconoscibile proprio, un metro più in là, dallo stretto sentierino delle pattuglie Jugoslave. Una mattina d’inverno, mentre i “panini de crudo” e la borraccia di Terrano riscaldavano la fredda cima del Monte Orsario, apparvero dalla nebbia, con lunghi cappotti, mitra e cane al guinzaglio.

Mi sembrarono in bianco e nero, quasi imbarazzati, come usciti da un vecchio film e subito inghiottiti dalla coltre di nebbia che nascondeva Sesana.

Ma questi erano tra i pochi incontri che in quelle zone si potevano fare allora con animali della nostra specie. Rari escursionisti, pochi fungaioli, qualche cacciatore. L’agricoltura e la zootecnia, ancor più presso il confine, erano quasi sparite. Di attività industriali o artigianali nemmeno l’ombra.

Poca e presidiata viabilità. Anzi, antiche strade di collegamento (per Malchina, Gropada e altre) cadute in totale abbandono e ormai impercorribili. In compenso i boschi si rinfoltirono e sempre più spesso apparvero caprioli e gatti selvatici, picchi e scoiattoli, salamandre e nottole. Se oggi possiamo camminare presso il Monte Lanaro e in alcuni tratti ci sembra di trovarci in mezzo al Parco Nazionale d’Abruzzo; se alcune zone del Monte Carso o del Carso Isontino conservano peculiari (e “improduttive”) distese di macereti e ghiaioni, se a pochi passi da Trieste è possibile osservare cosi tante specie di animali che si spingono fino a ridosso della periferia: non lo si deve a un’attenta e oculata amministrazione dell’ambiente, ma al fatto che quel maledetto confine aveva involontariamente creato un’estesa zona di protezione ambientale. Costituendo una riserva integrale che funse da nucleo di riproduzione e rifugio per molte specie che si irradiarono poi negli ambienti circostanti. In quegli anni è stata una fortuna, perché altrimenti avremmo facilmente perso molto per un capannone o una monocoltura in più.

La caduta del confine ci ha consegnato una fetta di Carso ancora in gran parte integra. Sapremo sfruttare quest’opportunità? L’economia non si costruisce solo con l’agroindustria, ma anche con la corretta gestione del paesaggio. In Germania, la vecchia frontiera tra Est e Ovest è diventata un meraviglioso itinerario turistico tra storia e natura: con opportunità per guide, agenzie, albergatori e ristoratori. Un esempio per chi non idolatra Il PIL come l’unico pilastro della vita. Perché un ricco che non ha un bosco dove passeggiare, o un prato dove far correre i bambini, è in realtà molto, molto povero.

Nicola Bressi

tratto da Konrad n.153 di febbraio 2010

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