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India antica

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di Muzio Bobbio

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Cari amici, si sta avvicinando la conclusione del nostro viaggio nelle arti marziali orientali.

Lo abbiamo fatto nello spazio, da nord-est verso sud-ovest (Giappone, Cina del nord e del sud), ed a ritroso nel tempo; pur potendo farlo anche verso altri importanti luoghi (come, per esempio, nel sud-est asiatico, luogo di grandi ed antiche tradizioni marziali) il prossimo ultimo passo lo faremo seguendo queste stesse direzioni, dove tutto ha avuto inizio.

La maggior parte delle diverse Arti Marziali trovano la filosofia che le sostiene nei libri sacri di diverse religioni (shintoismo e buddhismo in Giappone, taoismo e buddhismo in Cina), allo stesso modo, attraversando l’Himalaia e scendendo sino in India, potremo scoprire che nel Mahabharata, uno dei più importanti libri sacri dell’induismo (e più antico racconto epico-cavalleresco al mondo, insieme al Ramayana), è contenuta la filosofia sulla quale si appoggiano le Arti Marziali indiane e molto altro.

Si tratta di un poema in versi (da 75.000 ad oltre 95.000, a seconda delle diverse versioni) che, secondo la tradizione, narra fatti del XXXII secolo a.C.; diffuso già oralmente in un’epoca compresa fra il 1000 e l’800 a.C. venne posto in forma scritta, attorno al IV secolo a.C. in sanscrito.

In questo testo è raccontata la grande (maha) storia dei discendenti dei Bharata, una importante famiglia regale della storia antica di quel paese; in quest’opera, il più importante capitolo (che viene anche considerato un libro a sé) prende il nome di Bhagavad Gita; fu scritto sotto forma di dialogo tra Arjuna, il divino arciere dalle forti braccia, e Krishna, il saggio conduttore del suo carro da guerra, figura divinizzata dagli indù.

Il primo, con gli eserciti già schierati e pronti per la battaglia, viene colto da una profonda crisi di coscienza: “Come posso combattere ed uccidere chi mi è parente, chi mi è stato amico o addirittura maestro ?”.

Krishna gli risponde che se lui dovesse ritirarsi nessuno capirebbe i dubbi del suo spirito e verrebbe coperto solamente di infamia e citato di codardia: “Se il tuo compito ed il tuo dovere sono quelli di combattere non avrai altra scelta che farlo, ma dovrai farlo distaccandoti spiritualmente da tutto questo; se vincerai la battaglia potrai goderne i frutti, se perirai lo farà soltanto il tuo corpo: la tua anima immortale (cosa della quale non hai ancora consapevolezza) si reincarnerà per iniziare un nuovo degli infiniti cicli che le spettano”.

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Il concetto di “distacco”, l’abbandono devozionale, l’eterno ciclo della reincarnazione sono stati accolti nell’induismo e ripresi successivamente nel buddhismo seppure con qualche variazione; per esempio, nel suo insegnamento, il Buddha affermava che il ciclo delle rinascite si potesse fermare con il concetto di “illuminazione” (molto simile alla “consapevolezza”).

Gli stessi concetti sono la base anche di diverse vie dello yoga (da quel capitolo direttamente derivate) ma non solo: più che di concetti e filosofia per le Arti Marziali sono proprio il modo di pensare che dovrebbe acquisire il guerriero, il soldato, colui che va sul campo di battaglia per vincere o perirvi … non solo simulazione formale di esercizi per la crescita spirituale, ma autentica e cruda realtà.

Da questa antica realtà partono quei concetti, quelle forme di pensiero accolte in molte religioni e che, evolutesi sino ai giorni nostri, ogni Maestro dovrebbe aiutare i propri allievi a raggiungere.

La prossima volta conosceremo le moderne Arti Marziali indiane e ci saluteremo.

 

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