Musicofilia
Ah, la musica. Piace, coinvolge, accompagna, enfatizza, insomma rappresenta un settore dell’espressività rintracciabile in ogni cultura, in ogni tempo e praticamente in ogni momento della quotidianità o quasi.
Ma che cosa è la musica? Iniziamo col dire che la musica è un’esperienza psicologica che dipende dalla capacità di percepire i suoni e organizzarli internamente sulla base di alcune regole fisiche e psicofisiche, ma anche neurologiche e cognitive. Ed è una capacità davvero speciale, psiche, in fin dei conti, significa anima. Le capacità psicologiche considerate speciali sono e sono state oggetto di studio e di riflessione in quasi tutti i campi del sapere. Nel corso dei secoli la musica è stata trattata dal punto di vista filosofico, antropologico, sociologico, psicologico e, negli ultimi decenni, anche dal punto di vista neuroscientifico e terapeutico. Per non parlare di quanto ingegno e perizia sono stati spesi per fabbricare strumenti e di quanta competenza occorre acquisire per ottimizzarne il suono e l’espressività. Eppure se scrivo ta ta ta tan-ta ta ta tan, io vi vedo tutti canticchiare Beethoven. Io l’ho solo scritto, voi lo avete solo letto: eppure il motivo riecheggia interiormente, la struttura musicale si ricompone come per magia. Ora, se riuscite a staccarvi dall’incipit del primo movimento della Sinfonia N.5 del noto compositore, proviamo a proseguire verso una nuova consapevolezza, qualcosa che ci restituisce il merito di essere dei bravissimi ascoltatori e dei partecipanti attivi dell’esperienza musicale, a volte anche nostro malgrado. La musica intesa come suono organizzato incontra l’ascoltatore prima di essere eseguita, ovvero quando viene ideata e Beethoven ha dimostrato quanto il suo genio dipendesse dalla predisposizione al linguaggio musicale, ovvero dalla sua musicofilia: sebbene a 39 anni fosse già completamente sordo, ha continuato a comporre. Scrive nel 1811 su un taccuino dove riportava gli appunti per la Pastorale: «del cotone nel mio orecchio mentre sono al piano calma il tormentoso brusio del mio udito ammalato». Per creare la musica quattro proprietà del suono – altezza, durata, intensità e timbro – vengono combinate in una struttura ritmica che interagisce con altre categorie essenziali, ovvero lo spazio e il tempo. E questa sintesi ha luogo in una sede esclusiva, che chiamiamo comunemente psiche. Un insieme di suoni diffusi nell’etere provocano un insieme corrispondente di variazioni fisiche, eppure, se catturate dal sistema sensoriale umano, queste variazioni diventano un’esperienza del tutto unica che raggiunge vette di sofisticazione e profondità emotive, eleva e scava nello stesso momento. In una progressione che va dal distinguere il rumore dal suono e comporre il suono in musica, l’essere umano si distingue anche per la capacità di muoversi in corrispondenza di eventi sonori: Kandinskij, ha messo al centro del suo lavoro artistico la ricerca che riguarda il legame fra tono del colore, tono musicale e movimento umano. Skrjabin compone nel 1910 una sinfonia, il Prometheus, in cui prevede nella partitura l’uso della Chromola, uno strumento che emette luce colorata. Gusti, generi, culture e sub culture musicali sono accomunati da questa singolare proprietà emergente di una mente che coopera con il corpo e che trasforma una famiglia di stimoli in un linguaggio a se stante. Se il compositore rappresenta l’asintoto delle potenzialità creative ed espressive raggiungibile grazie a questo linguaggio artistico, l’ascoltatore partecipa attivamente alla riuscita dell’opera. Steso al buio con gli occhi chiusi mentre cerca di rilassarsi, oppure impietrito dalla bellezza o scatenato nella danza, l’ascoltatore partecipa sempre, mettendo a disposizione la sua complessità percettiva e riverberando il messaggio, attribuendogli un senso, cogliendone o assegnandovi un valore estetico. Il compositore è colui che “mette insieme”: non possiamo restarne fuori.
Raffaella Delbello