A Stefano Rodotà, compianto difensore dei diritti costituzionali, fu affidata nel 2007 la presidenza della Commissione per la redazione di un disegno legge in materia di beni pubblici introducendo il concetto dei beni comuni. Nel 2014 Rodotà riprese il progetto con la Costituente dei beni comuni. Nel 2018 contribuì a stilare il disegno di legge di iniziativa popolare sui beni comuni, accanto a quelli pubblici e privati. Ancora oggi però non esiste una legge organica che li disciplini.
I beni comuni (acqua, aria, le foreste, le reti di trasmissione, energetiche e di trasporto, la salute e quindi la disponibilità dei farmaci essenziali, internet, il paesaggio, etc.) sono una rivoluzione: mettono in discussione la divisione tra diritto privato e diritto pubblico perché sono condivisi da tutti e perché propongono nuovi modelli di sviluppo sostenibile e di coesione sociale in una logica di uguaglianza e di autogoverno. Riprendendo quanto dice Ugo Mattei in Un manifesto sui beni comuni:
«Quando lo Stato privatizza una ferrovia, una linea aerea o la sanità, o cerca di privatizzare il servizio idrico integrato o l’Università, espropria la comunità dei suoi beni comuni. Mattei interpreta i beni comuni come un genere di beni dotato di autonomia giuridica e strutturale nettamente alternativa rispetto tanto alla proprietà privata quanto a quella pubblica».
I beni comuni non sono alienabili e privatizzabili ma devono essere conservati nell’interesse di tutti, sono caratterizzati dalla non escludibilità, chiunque ne può usufruire, e dalla rivalità, l’uso eccessivo del bene porta a una diminuzione della sua utilità a causa del suo esaurimento. Vanno quindi fissate le regole d’uso per evitare una loro scarsità reale o artificiale attraverso strumenti utilizzati dal mercato. Elinor Ostrom (1933-2013) premio Nobel 2009 per l’economia fu promotrice dei beni comuni e delle regole per la loro gestione. Date queste premesse la domanda che sorge è: ma le reti infrastrutturali strategiche, materiali e immateriali e dei servizi di pubblica utilità in rete, non dovrebbero rientrare nella categoria dei beni comuni? Le infrastrutture a rete sono le reti di comunicazione (telefonia e internet), le reti di trasporto (ferrovia, strade e autostrade, aerovie, fiumi e mare), le reti di produzione e distribuzione dell’energia (elettrica, gas, petrolio), la rete postale, la rete idrica e la rete fognaria, etc. In alcuni casi queste reti sono interconnesse e sono caratterizzate da nodi e link, p.e. la smart grid o rete intelligente nella distribuzione dell’energia è l’intreccio di una rete informatica con una rete di distribuzione elettrica che rende funzionale ed efficiente la fornitura di corrente ai cittadini. Si tratta in definitiva di componenti cruciali per lo sviluppo e la crescita di un paese, per la qualità della vita e per la coesione sociale. La qualità delle reti infrastrutturali e dei servizi di rete è determinante per la mobilità delle persone e la fruizione di beni essenziali. Dalla qualità dei servizi di rete dipende l’indipendenza, la sicurezza e l’incolumità delle persone. Una capillare e moderna rete di infrastrutture rende efficaci gli interventi di protezione civile, di controllo del territorio, di contrasto all’emarginazione sociale nelle periferie. La regolazione, l’ampliamento, l’ammodernamento delle reti infrastrutturali ma soprattutto una rigorosa manutenzione sono temi essenziali, per cui iservizi di rete non possono essere alienati, privatizzati e affidati al mercato sottraendoli alla comunità. Tanto più che il mercato non garantisce gli ingenti investimenti a lungo termine che solo la fiscalità generale può assicurare.
In molti casi la proprietà demaniale dei beni dello stato è stata data, in questi anni, in concessione attraverso un provvedimento amministrativo a enti o a istituzioni privati attribuendo a questi un diritto soggettivo o un potere di cui la Pubblica Amministrazione è titolare, sottraendo così alla comunità dei cittadini la fruizione di quei beni. Tale concessione traslativa prevede che la titolarità rimanga allo stato ma il concessionario attraverso il pagamento della concessione può lucrare anche alcuni decenni ai danni della comunità dei cittadini con canoni usualmente assurdi rispetto al valore demaniale reale.
La proprietà comunitaria delle reti è la sola soluzione percorribile per assicurare servizi efficienti scevri dalla logica mercantile. La capillarità , la continuità del servizio, tariffe eque e trasparenti proporzionali ai servizi offerti, accesso ai ceti deboli e svantaggiati sono una garanzia universale per i cittadini.
Lino Santoro