Le guerre devastano salute, ambiente, economia.
All’inizio del 2000 ho conosciuto Gilberto Vlaic, docente di chimica dell’Università di Trieste ricercatore al Sìncrotrone, ma soprattutto un fervente pacifista creatore e presidente di Non bombe ma solo caramelle, un’associazione di solidarietà nata con la guerra contro la Serbia del 1999, che comportò morte, disastri ambientali e pesanti impatti sull’economia industriale del paese. Mi consigliò un libro edito da Jaca Book Guerra infinita Guerra ecologica, i danni delle nuove guerre all’Uomo e all’Ambiente di Massimo Zucchetti. Gilberto è mancato nel 2018, ma il suo impegno per la pace ne fa per me un punto di riferimento indimenticabile.
Nella prefazione del libro è riportato un intervento di Gino Strada che nello stigmatizzare l’attentato terroristico al World Trade Center, afferma però che tutte le guerre che ne sono seguite sono state atti di terrorismo nei confronti delle popolazioni, il termine di guerra umanitaria è una bestemmia, i conflitti presenti nel mondo fanno milioni di morti, il 90% sono civili e il 30% sono bambini.
L’uso delle nuove tecnologie nelle guerre aumenta invece che ridurre le conseguenze sul territorio, perché lo scopo è distruggere l’economia e le infrastrutture civili, fatti che emergono in modo evidente nei conflitti in Ucraina e nella striscia di Gaza, non ci sono i buoni da una parte e dall’altra i cattivi, come la propaganda vorrebbe far credere, il quadro è invece molto più complesso e variegato. Per gli eserciti la devastazione del territorio e la strage della popolazione civile sono considerati deprecabili effetti collaterali.
Il Watson Institute della Brown University di Providence (USA) pubblica un articolo di Stephanie Savell dal titolo How death outlives war, ovveroil riverbero dell’impatto delle guerre dopo l’11 settembre sulla salute umana. Viene studiato l’effetto delle guerre sulle popolazioni non solo quello immediato ma soprattutto gli effetti a lungo termine e indiretti nelle zone di guerra, a partire dall’Afghanistan per arrivare in Somalia. Dovunque gli USA hanno e hanno avuto un ruolo diretto o indiretto. Gli impatti sulle popolazioni sono e sono stati così vasti e complessi che risulta difficile quantificare, il dato oggettivo è che almeno da 4 a 5 milioni di individui sono morti e che quasi 8 milioni di bambini hanno sofferto e soffrono ancora di acuta malnutrizione.
Il periodico IRIAD Review del maggio del 2018 aveva sviluppato L’analisi economica delle guerre, autore Giulia Rapicetta. Il perno dello studio sono le guerre civili in corso in alcune parti del mondo, in particolare in Africa. Ma quali sono le motivazioni delle guerre civili? Sono solo economiche o c’è altro in gioco? Comunque le loro conseguenze sono caratterizzate da morti, feriti, distruzione di proprietà e infrastrutture, problematiche economiche, annientamento di risorse e migrazioni di popolazioni. La quotidianità (andare a scuola, al lavoro, al mercato) diventano occasioni di paura, tanto che la fuga nei paesi limitrofi porta a nuovi conflitti perché anche lì spesso le condizioni sociali sono già critiche. Perché scoppiano le guerre civili? Uno shock economico può esserne la causa, vero è che la guerra civile a sua volta è causa di shock economici. Secondo Paul Collier (Oxford University) la bassa crescita economica e un basso reddito pro capite, in Africa, può essere causa di guerra civile, ma bisogna capire che le motivazioni sono anche produrre o predare. Anche le condizioni geografiche possono influenzare l’emergere di un conflitto, ma gli obiettivi alla fine sono spesso speculativi e criminali al di là delle motivazioni ideologiche, etniche e religiose, che sono propaganda iniziale. Le primavere arabe sono un esempio emblematico di come un drammatico status economico sia poi stato finalizzato agli interessi di una ristretta elite. Il petrolio e le terre rare, utili agli ex stati coloniali, ha sostanzialmente modificato l’economia della popolazione, inizialmente indirizzata verso l’agricoltura e la pesca, pesantemente compromesse dagli sversamenti dell’oro nero, dall’inquinamento dell’industria petrolifera e delle attività estrattive. Tutti gli studi convergono sul fatto che benessere e sviluppo possono realizzarsi solo in condizioni di pace, però i fabbricanti e i mercanti di armi sono i può temibili avversari della pace perché sono le armi la loro risorsa economica.
Nel numero 2 di Scienza e Pace del 2011 troviamo che Gli effetti ambientali delle guerre, come gli eserciti e i conflitti armati mettono in pericolo il pianeta, nei dibattiti pubblici e negli interventi dei politici raramente si entra nel merito dell’impatto delle guerre sull’ambiente, normalmente si analizza la situazione dai punti di vista, politico, socio-economico o umanitario. Eppure per preparare le guerre si utilizzano 15 milioni di kmq di territorio, l’8% di consumo di materie prime, producendo il 10% delle emissioni globali di CO2. La distruzione delle risorse naturali con il fosforo bianco o con il napalm e le modificazioni dei fenomeni naturali per scopi militari, ovvero l’uso della geoingegneria come l’inseminazione delle nuvole per produrre forti precipitazioni sono esempi di come per mettere in crisi il nemico si usino tutte le strategie possibili. Il Vietnam insegna ma gli stessi meccanismi sono attivi nella striscia di Gaza. Un tema importante è quello degli impatti delle attività militari che si protraggono non solo durante i conflitti armati, ma anche nella fase di preparazione e nelle conseguenze che rimangono sul territorio. Sul terreno si accumulano inquinanti che riguardano sia le persone che i biosistemi che vengono avvelenati da tutti i residui chimici tossici che rimangono nel suolo o fluiscono nelle acque. All’inquinamento chimico si somma l’inquinamento acustico: i sonar ad alta intensità provocano danni irreversibili a delfini e balene. Oltre all’inquinamento del suolo anche il suo consumo viene sottratto ad attività produttive per il territorio, le basi militari hanno un pesante impatto, le esercitazioni implicano inquinamento da sostanze chimiche e metalli pesanti, oltre all’uranio impoverito. Ma anche i consumi energetici, il consumo di risorse idriche sono impatti delle basi militari sul territorio.
Lino Santoro
in copertina: Mænsard vokser, CC BY-SA 4.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0, via Wikimedia Commons