La scialuppa di Stephen Crane – da La scialuppa e altri racconti
Di cosa parla il mare? Cosa contiene la sua voce portata dal vento? Stephen Crane lo esprime nel suo celebre racconto La scialuppa prendendo a spunto la vicenda, da lui vissuta in prima persona, di un naufragio. Quattro uomini alla deriva a bordo di una piccola, instabile scialuppa che affronta una lotta impari con le straripanti onde. Nulla si dice di ciò che è successo prima, di come si sia arrivati a questa scialuppa abbandonata – non serve, questo non è un racconto di cronaca – e la scialuppa è già in mare quando la storia comincia.
E la storia comincia già con una frase potente, di quelle che scavano un solco: «Nessuno di loro sapeva di che colore fosse il cielo». E questo perché gli occhi dei quattro naufraghi (e così quelli del lettore) sono – e devono restare – fissi sul mare, sulle onde, il cielo rimanendo un’istanza irraggiungibile dalla quale non potrà arrivare alcun aiuto. Solo il mare conta, solo la contingenza della sua titanica indifferenza, solo il campo di battaglia entro il quale i quattro ingaggeranno la loro furibonda lotta per sopravvivere. Anche qui, però, Crane introduce un elemento straniante: poche pagine e già i quattro intravedono la terra, la linea scura di una spiaggia, il segno flebile ma vitale di un faro. Salvi? Non ancora; se si avvicinassero troppo la risacca ribalterebbe la loro barca, schiantandoli contro la riva. Sarà necessario, prima o poi, abbandonare il loro fragile rifugio di legno e lanciarsi a nuoto verso la terra. Ma avranno la forza di farlo? Eppure non è questo il punto, non ancora. Conta di più il tentativo, che si perpetua al di là di tutta l’indifferenza che li circonda, quella del mare, certo, quella del cielo, ma anche quella degli uomini, piccole figure urlanti che a un certo punto i quattro intravedono sulla spiaggia ma che non intervengono in loro aiuto.
Diviso in sette parti, ognuna con una tematica ben definita (quasi dei racconti nel racconto), “La scialuppa” è un tipico esempio della grandezza di Crane e della sua capacità di trascendere ciò che racconta. Pur non essendo mai strettamente simbolico o allegorico (un gioco che rischierebbe di stancare), anche quando sembra ci stia solo raccontando una vicenda qualsiasi, in realtà fa ben altro, cospargendo le sue pagine di segni impercettibili, suggestioni che, accumulandosi, si elevano verso dimensioni altre, trasfigurando il racconto e portandolo lontano, lontanissimo dalle sue premesse. Ciò che fa nella quarta parte de La scialuppa è emblematico: i naufraghi, come detto, intravedono delle figure sulla spiaggia, e uno di loro osserva: «Strano che non ci vedano!» – letteralmente «Funny they don’t see us!» Il punto esclamativo è lì quasi a sottintendere una bizzarria che, però, sarà solo momentanea, che non può essere duratura. La stessa frase verrà ripetuta poche righe dopo (senza punto esclamativo), ma mescolata a un piccolo paragrafo, confusa, quindi, entro altre riflessioni, spogliata da eventuali perentorietà. Finché, mezza pagina più avanti, di nuovo si ripete: «Strano che non ci vedano» ma questa volta la frase è isolata, lasciata a occupare l’intero paragrafo, quasi un blocco in mezzo alla pagina. Il punto esclamativo è eliminato, così come ogni altro orpello e a rimanere è solo una frase che, con questo suo tempo presente, diventa una sentenza, inequivocabile e immutabile. In questo modo, con questa semplice progressione/reiterazione, Crane convoglia tutta l’attenzione di chi legge su quella frase (che diventa concetto), su quella stranezza per il fatto di non essere visti, attribuendole, però, connotati di vertiginosa inquietudine. E aprendosi a speculazioni su cosa debba significare l’indifferenza di quegli uomini sulla spiaggia.
La scrittura di Crane è piena di cose simili, particolari non percepibili immediatamente, ma che lavorano al di sotto del cosciente, detonando solo durante la riflessione. Per questo la definizione di scrittore “naturalista” nella quale è etichettato gli sta stretta. C’è la denuncia sociale, certo, c’è la descrizione aderente al vero, ma Crane va oltre. Sempre. Per questo il suo lavoro è vivo ancora oggi perché, pur partendo dal particolare, parla dell’universale, dell’eterno, valido ai suoi tempi come ai nostri.
Dunque, di cosa parla il mare? Della lotta, dell’insensatezza delle cose, dell’indifferenza della natura? I quattro naufraghi, alla fine, forse lo scopriranno, imparando la tragedia, imparando la paura, la fatica. Imparando che la sorte degli altri è la nostra, che il male degli altri ci appartiene anche quando non lo condividiamo. Imparando la vita, la morte, la pochezza della nostra condizione.
È un bell’esercizio leggere Crane. Pur se fulgida e repentina (morirà a ventinove anni) la sua opera ha bruciato la sua contemporaneità (Conrad non faceva mistero dell’ammirazione che nutriva per lui) e illuminato ciò che sarebbe venuto (difficile non immaginare un Hemingway studiare e appassionarsi ai suoi lavori).
È un bell’esercizio perché la sua scrittura annichilisce, ci fa sentire piccoli. Ma, proprio per questo, ci fa capire a quali vette si possa arrivare.
Ivan Zampar
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In Copertina: Foto di Fabio Gon, Pinkdown
Stephen Crane: La scialuppa, tratto da Il passo della giovinezza. Racconti, Sugarco edizioni, Tascabili Sugarco 1984, nota critica a traduzione Marisa Caramella, 134 pagg.