Biocarburanti e carburanti sintetici (o e-fuel) sono presentati come l’alternativa “green” ai
combustibili fossili, equivalente o anche più vantaggiosa rispetto all’elettrificazione. Non è
affatto così.
I biocarburanti si ricavano infatti da colture alimentari e foraggere, come palma da olio e
soia. Oppure da residui e rifiuti, come gli olii alimentari esausti. Nel primo caso l’impatto
climatico diretto e indiretto (soprattutto a causa della deforestazione di aree forestali
tropicali vergini per far spazio alle monocolture di palma da olio nel sud est asiatico o di
soia in Brasile) è devastante. Le emissioni del biodiesel così prodotto sono tre volte
superiori (!) a quelle del diesel fossile.
Non solo: a parità di output energetico, la superficie di territorio necessaria per produrre
biocarburanti è quaranta volte (!) superiore a quella necessaria per produrre elettricità con
i pannelli fotovoltaici.
I biocarburanti ricavati da residui e rifiuti, invece, se da un lato riducono le emissioni
rispetto ai combustibili fossili, dall’altro emettono comunque più dei motori elettrici
considerando l’intero ciclo di vita dei veicoli. Il loro limite è però la scarsa disponibilità in
Italia di materie prime utilizzabili per la produzione: bisognerebbe importarne (come già
avviene) da Cina, Spagna, Bulgaria…
La limitata disponibilità di biocarburanti sostenibili da rifiuti e residui, impone perciò che il
loro impiego sia per la decarbonizzazione dei settori dove l’elettrificazione diretta non è
percorribile, come aviazione, trasporti marittimi e industria pesante, non certo i trasporti
stradali.
Il principio della “neutralità tecnologica”, apparentemente ragionevole, sbandierato dal
Governo italiano per cercare, puntando sui biocarburanti, di contrastare il divieto – deciso
dalla UE – di produrre veicoli a benzina e diesel dal 2035, non regge quindi a un serio
esame scientifico. Né si giustificano gli investimenti dell’ENI (da sempre il dominus della
politica energetica in Italia…) in questo settore e il sostegno di Coldiretti a tale
operazione.
I carburanti sintetici o e-fuels sono invece prodotti combinando carbonio e idrogeno,
utilizzando energia, per ricreare un idrocarburo. Per essere “verde”, l’idrogeno dev’essere
ricavato per elettrolisi dall’acqua utilizzando elettricità prodotta con impianti fotovoltaici o
eolici, come si deve fare pure per ottenere il carbonio. Un procedimento perciò altamente
energivoro: alimentare un’auto con benzina sintetica è infatti cinque volte (!) meno
efficiente rispetto all’alimentazione diretta con elettricità.
Non solo: dal punto di vista dell’inquinamento atmosferico, che sia di origine fossile,
biologica o sintetica, il carburante – quando bruciato in un motore a combustione – produce
comunque sostanze incombuste di scarto, estremamente nocive per la salute umana,
come PM10, PM2.5, NOx ed altre. Rispetto alla combustione della benzina, quella di
e-fuel genera un quantitativo di monossido di carbonio tre volte superiore…
Pessimi anche i dati sulle emissioni di ammoniaca, elemento che, combinandosi con altri
composti presenti nell’aria, forma le PM2.5 a cui sono associati gravi rischi per la salute
(asma, malattie cardiache e cancro) e per le quali non esistono livelli sicuri di esposizione.
Una trattazione più esaustiva di questi argomenti si può leggere nell’articolo di Transport &
environment al link qui sotto:
Giorgia Meloni ha ribadito la posizione del Governo italiano, favorevole ai bio-carburanti,
anche nel suo intervento alla COP 28 di Dubai, rivendicando il principio della “neutralità
tecnologica” e l’impegno dell’Italia per una transizione “ecologica ma non ideologica”. Ma
cosa c’è di più ideologico di una (presunta) transizione che non tiene in alcun conto i dati
scientifici per favorire le lobby e gli interessi economici di qualcuno?
Dario Predonzan