No, non desidero scrivere del santo patrono di un’altra città, anche se viene festeggiato in questo periodo, ma della forza che può suscitare una poesia, non a caso omonima.
Seppur in pensione sono solitamente più attivo, ma oggi è un’uggiosa giornata autunnale e io devo smaltire il passaggio dei normali malanni di stagione; per far passare il tempo in modo almeno dignitoso mi sono posto davanti al computer a riordinare il materiale che, un po’ alla rinfusa, ho recentemente raccolto per le mie solite attività.
Come per quell’anziano che, guardando l’immagine di una bella ragazza, diceva che sapeva di cose che gli piacevano tanto ma delle quali non ricordava il perché, così, attraverso un percorso mentale simile sono andato in rete a cercare la poesia risorgimentale Sant’Ambrogio (di Giuseppe Giusti)… oh, guarda: si trova anche l’audio recitato!
Avvio la riproduzione: le orecchie ascoltano ma la mente è ancora concentrata su altri piani.
Lentamente però il suono di quella voce, come una musica dolce, come il canto di una sirena, attira il mio pensiero che si sintonizza su quel testo: esso mi sta per rivelare ancora tutta la sua forza, sebbene nato in altri tempi e in altri contesti.
Siamo all’epoca del Lombardo-Veneto e l’autore racconta di “chiacchierare” con un non meglio identificato maggiorente austroungarico che lo ha fermato.
Intenzionato a parteciparlo di un fatto che gli è accaduto di recente, racconta di essere entrato casualmente nella chiesa dedicata a quel santo la trova piena di “soldati settentrionali”, croati e boemi, che sulle prime sono fonte di ribrezzo.
Di li a poco l’ascolto di un coro verdiano porta il protagonista in uno stato mentale diverso e da repulsione e rifiuto finisce per scivolare inconsapevolmente in mezzo a loro; quando poi questi intonano, a mo’ di preghiera, un qualche canto natio, una finestra emotiva interiore gli viene spalancata, ma lasciamo che siano i suoi stessi versi a parlare:
A dura vita, a dura disciplina,
muti, derisi, solitari stanno,
strumenti ciechi d’occhiuta rapina,
che lor non tocca e che forse non sanno;
e quest’odio, che mai non avvicina
il popolo lombardo all’alemanno,
giova a chi regna dividendo e teme
popoli avversi affratellati insieme.
Povera gente! lontana da’ suoi,
in un paese, qui, che le vuol male,
chi sa che in fondo all’anima po’ poi,
non mandi a quel paese il principale!
Gioco che l’hanno in tasca come noi”.
Qui, se non fuggo, abbraccio un caporale,
colla su’ brava mazza di nocciolo,
duro e piantato lì come un piolo.
In quel momento, sarà stato forse per l’assenza di pensiero razionale, i concetti espressi hanno trovato risonanza dentro di me e, come il protagonista della poesia, una punta di commozione ha percorso il mio spirito emotivo. Accidenti, com è stato ed è ancora tragicamente attuale quanto raccontato in questo testo: per la povera gente, stare sotto una bandiera a due o a tre colori non cambia poi molto, ma è sempre quella che paga per le altrui colpe e non penso solamente all’Europa Orientale e al Medio Oriente.
Muzio Bobbio