Autostrada del sud di Julio Cortázar – da Tutti i fuochi il fuoco
La vicenda (o forse, meglio, lo spunto) è semplice: un ingorgo di proporzioni apocalittiche blocca per mesi su un’autostrada un’intera comunità di automobilisti. Il racconto sviluppa tali premesse iperboliche analizzando le dinamiche che si instaurano tra le donne e gli uomini impigliati in questa sospensione spaziotemporale. Che è, probabilmente, anche una sospensione tecnologica, o per lo meno una parentesi in una quotidianità percepita come frenetica, costantemente in movimento, e che costringe i suoi protagonisti, inchiodati all’immobilità, a inventare nuovi modi per fare comunità.
L’attacco è pura maestria: un lunghissimo periodo, sviluppato su due facciate, senza stacchi o interruzioni, col quale Julio Cortázar simula, letteralmente, un ingorgo di parole che, senza soluzione di continuità, blocca gli occhi sulla pagina non fornendo sbocchi di capoversi o a capo, in un flusso di parole senza uscita. La forma, dunque, ancora una volta è sostanza. Finché, quando Cortázar ci ha ormai trascinati dentro il magma della sua pagina, ecco che ci svela le modalità dell’imminente discorso che si appresta a fare, spersonalizzando innanzitutto i personaggi, non distinti da un nome o da una caratterizzazione, bensì semplicemente dall’auto che guidano: la ragazza della Dauphine, l’ingegnere della Peugeot, i ragazzini della Simca… E questo perché i personaggi non vogliono più rappresentare entità vitali, bensì mere funzioni, posto che, come accennato, questo è il racconto di una deriva sociale e tecnologica che si propone di osservare gli effetti di una sua paradossale saturazione.
Ecco allora che la situazione all’interno dell’immane ingorgo a poco a poco si conforma a quella tipica di un condominio, con tanto di appartamenti (le auto allineate che procedono di pochi metri al giorno) e vicini di casa che, lentamente, iniziano a relazionarsi tra di loro, confortandosi, ricercando un aiuto, organizzandosi in un metodo che consenta loro di sopravvivere alle stagioni che passano e che li vedono inchiodati all’asfalto dell’autostrada. Mentre la vita scorre come nella normalità di una vita, con le persone che si preoccupano, si affidano dei ruoli, si ammalano, amano, muoiono… A tenere sospeso il racconto su più registri, spesso antitetici – da quello realistico a quello fantastico, a quello esistenziale – la tecnica pazzesca di Cortázar che mai cade nella banalità di cose già viste o già fatte (il tema del ritorno alla natura, per dire), ma che si finalizza sull’esame del mutamento nelle relazioni di chi si è ormai abituato a vivere nella velocità della tecnologia trovandosi a convivere con la sospensione delle proprie consuetudini, costretto a reinventare nuove dinamiche e nuove istanze relazionali. Stasi contro velocità, superfluo contro essenziale, il tutto dopo aver perfettamente assimilato la lezione kafkiana che, al primo sconcerto e ai primi timidi tentativi di trovare una plausibilità a quanto sta accadendo, fa seguire la rassegnata rinuncia a una spiegazione, limitandosi ad accettare l’ineluttabilità delle cose, e conducendo il lettore verso quello che è il punto focale cui l’autore è davvero interessato.
Si concluderà l’ingorgo? Le auto, la vita di tutti i giorni ricominceranno a scorrere? Si eviterà, naturalmente, di rivelare l’epilogo, rimarcando solo che l’effetto prodotto dall’arte di Cortázar è simile a quello del tappo che viene tolto lasciando esplodere ciò che per pagine e pagine è stato precedentemente lasciato a fermentare. Un’idea (di storia, ma anche di scrittura e di arte) che colpisce come un maglio e che lascia lunghi giorni col pensiero totalizzante di un racconto mostruoso, così carico di implicazioni da valere il tempo di un romanzo. L’arte del racconto ai suoi massimi livelli.
Ivan Zampar
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In Copertina: Foto di Fabio Gon, Traffico
Autostrada del sud; tratto da Tutti i fuochi il fuoco, Einaudi, ET Scrittori 2014; traduzione di Flaviarosa Nicoletti Rossini e Ernesto Franco, introduzione di Ernesto Franco, 149 pag.