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The Green border
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Green Border

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TRIESTE FILM FESTIVAL TRENTAQUATTRESIMA EDIZIONE – 2024

Green Border (Zielona Granica) di Agnieszka Holland (Polonia, Francia, Repubblica ceca, Bielorussia), 2023

Il film, proiettato come evento speciale all’inaugurazione del festival il 23 gennaio al Teatro Rossetti, ha vinto il Premio speciale della Giuria all’ultima Mostra del Cinema di Venezia e ha avuto un po’ di successo in questi mesi (se n’è parlato un po’ qui: www.badtaste.it e il Mereghetti ne ha parlato qui: corriere.it).

È un lungometraggio che risulta quasi impossibile da sostenere per il troppo dolore, così sgorgante, così pieno: una sofferenza travolgente che coinvolge lasciando basito chiunque lo guardi; lasciandoci sconfitti, umanamente e civilmente frustrati. Un grande film la cui scelta del bianco e nero è stata una scelta di verosimiglianza, non etica o estetica (come quella, ad esempio, di Schindler’s list), perché, semplicemente, quei fatti così rappresentati davano più realtà che non se fossero stati a colori: una specie di filtro che permette di accettare (nel senso di rendere verosimili appunto, quindi reali) quelle situazioni, quelle dinamiche terribili.

La trama, purtroppo ai limiti del banale in quanto rientrante nella cronaca quotidiana di questi spiritualmente brutti, brutali e attuali giorni, è semplice: sul confine tra Polonia e Bielorussia convogliano destini diversi che lottano per la sopravvivenza e mostrano l’assurdità della politica razzista, xenofoba, cieca, ignorante e, direi, auto-conservativa, onanistica, priva di visione. In questo caso vediamo la sorte di una famiglia di rifugiati siriani, un’insegnante afghana e altri personaggi meno seguiti (ma come non ricordare la donna incinta?) che vengono trattati peggio di animali perché sballottati avanti e indietro tra i due confini: uno stato li butta fisicamente da una parte e l’altro lo ributta dall’altra (il cadavere che rimane impigliato è emblematico, oltre che essere di una desolazione inquietante e tristissima).

Certo, mostrare quelle zone umane devastate dall’uomo stesso fa pensare alla facilità nel colpire lo spettatore, al facile patetismo: non è così qui; non è grossolano, no, o almeno non lo sembra proprio, è lancinante, terribile, insopportabile. È tutto fatto bene, il patetismo è quasi assente e c’è anzi anche una traccia di speranzosa rinascita (si vedano la psicoterapeuta e soprattutto la guardia militare polacca che alla fine abiura dal suo ruolo di carnefice e di aguzzino).

L’opera della Holland è a dir poco attuale (arriva fino a metà 2023) e obbliga lo spettatore a essere coinvolto nella storia: non parlare dell’argomento è già una colpa, uno sbaglio; il silenzio è colpevole quanto quei lupi di uomini assetati del sangue umano, quanto quei branchi che torturano le persone accompagnandole al confine.

Nota finale, più generale: ho notato che in alcuni film di questa edizione (alcuni dei quali già recensiti), la nudità è un simbolo, quasi una caratteristica, se non principale almeno sempre presente: come già in Wild, in TO TYLKO/AŻ CIAŁO… albo krótki fim o wolnośc e poi in Toni Edermann anche qui la nudità è preziosa e intelligente: appena la guardia militare – che sorveglia e trascina, cioè tortura, i profughi al confine – sente con più precisione che l’amore che prova per la vita è in contraddizione con quanto fa sul lavoro, entra in crisi. La rivelazione si esplicita nella scelta di dormire nudo, in una scena molto delicata e forte, quando per dormire si denuda appunto perché – si capisce – era troppo sporco…
La purezza dell’umanità; non bisogna mai perderla, mai.

Riccardo Redivo

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